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giovedì 6 gennaio 2011

Acqua inquinata, tra deroghe e privatizzazione

Nella propaganda elettorale per le scorse regionali circolava un foglio che assicurava: “La Toscana in buona salute” Lo stato dell’acqua è forse il miglior indicatore per valutare lo stato complessivo di un territorio, ed in Toscana l’acqua sta male. Dal sito stesso della Regione sappiamo che il sistema toscano pesa sull’acqua quanto 12,2 milioni di abitanti equivalenti, molto di più dei 3,5 milioni di effettivi cittadini. Tre quarti di questo peso è dato dall’industria, mentre solo il restante quarto dall’agricoltura. E’ un peso che incide sulla quantità, ma inevitabilmente anche sulla qualità dell’acqua. La Relazione sullo stato dell’ambiente 2009 in Toscana dell’ARPAT, a pag. 172 afferma che l’88 % delle nostre fonti (pozzi, sorgenti, derivazioni, ecc) sono nella classe peggiore, la classe A3, la cui acqua per essere resa potabile richiede un “trattamento fisico e chimico spinto, affinazione e disinfezione”. Eravamo già all’82% nel 2006. In altre parole, il grosso dell’acqua in Toscana è usata e inquinata dall’industria, secondariamente dall’agricoltura, e quella poca che resta per la popolazione, è molto inquinata, ci costa molto per depurarla un po’, e per di più ce la dobbiamo bere in deroga ai limiti di legge, come vedremo più oltre. Tutto ciò fa strame dei principi della legge Galli (36/1994) che ridabiva le priorità nei consumi di questo bene primario: il primo posto spetta ai consumi civili, secondariamente all’agricoltura, e quel che resta all’industria. Restringendo lo sguardo a livello della provincia di Livorno, questo stravolgimento risulta evidentissimo. Il polo petrolifero di Livorno consuma 67 milioni di metri cubi l’anno di acqua dolce (cosidetta “industriale”, cioè acqua buona, ma inquinata a monte), quello Solvay 18 milioni, quello di Piombino almeno 10 milioni, quello geotermico almeno 4 milioni: sommano 99 milioni di mc/anno, a cui occorre aggiungere quelli dei due porti principali e delle attività industriali minori. Di contro ASA fornisce alla popolazione 29 milioni di mc/anno (Bilancio socio-ambientale 2007), forse un quinto dei consumi industriali complessivi. Raschiando il fondo del barile, come visto sopra, l’acqua rimasta alla popolazione va depurata con dosi sempre più massicce di cloro, che ci ritroviamo al rubinetto sotto forma di trialometani cancerogeni e cloriti. Ed ancora non basta, perché ci viene fornita anche acqua all’arsenico e al boro, oltre i limiti di legge. La disastrosa situazione dell’acqua in Italia indusse il governo centrale ad emettere un decreto (DM 31/2001) che concedeva alle Regioni la possibilità di emettere deroghe ai limiti di legge nazionali sugli inquinanti nell’acqua potabile. La Toscana “da cartolina” poteva rifiutare la possibilità concessa e fornire acqua buona ai propri cittadini. Ma non fu così: si avvalse subito del decreto, cominciando ad emettere deroghe per trialometani, cloriti, arsenico e boro, coinvolgenti aree sempre più estese della nostra regione (nel 2008 erano coinvolti circa 600.000 toscani). E quel che è peggio, senza informare la popolazione, e senza avviare piani di bonifica e risanamento della qualità dell’acqua, nonostante informazione e piani di bonifica siano espressamente previsti nel decreto, e siano condizione indispensabile all’emissione delle deroghe. Le ultime emesse dalla Regione Toscana (n. 754 del 2008, n.1587 del 9.4.2009, n. 3608 del 24.7.09) richiamano espressamente l’obbligo di informare la popolazione, addirittura di “fornire consigli a gruppi specifici di popolazione” particolarmente a rischio, come ad esempio i giovani sotto i 14 anni per il boro, ma non traduce in fatti concreti il dovere d’informazione, che deve far capo anche ad ASL e sindaci. Peggio ancora per i piani di bonifica, che non esistono, o dove esistono sono mangiatoie per la “casta”. Ad esempio, nel 2003 – dopo anni di proteste di MD e della popolazione – fu fatto un progetto di bonifica della val di Cecina, inquinata da arsenico, boro, mercurio, cromo, ecc (il Progetto “Cecina bacino pilota”) con lo stanziamento di ben 35 milioni di euro. Ad oggi nessuno degli interventi di bonifica è stato concluso (o neanche avviato), si continua a bere acqua in deroga, e i 35 milioni sembra che stiano disperdendosi in mille rivoli senza risultati. Da notare che dal 2008 è coinvolta nella deroga regionale anche la città di Livorno, per i trialometani (cloroderivati cancerogeni, come il cloroformio) , completando il coinvolgimento di TUTTA la provincia, da Collesalvetti all’ultimo comune dell’Elba. Nell’ultima deroga regionale n. 1514 del 26 marzo 2010 – emessa in attesa del pronunciamento della Commissione europea, previsto perché è stato intaccato il terzo triennio - Livorno città è misteriosamente scomparsa, come altri comuni. Da notare inoltre che diversi comuni, come Cecina e Piombino, sono coinvolti per due o più inquinanti fin dal 2003, ciò che moltiplica il rischio sanitario per la popolazione. Finalmente il 28 ottobre 2010 è arrivata la reprimenda della CE, attesa da un anno, che blocca le deroghe della Toscana ed altre regioni, imponendo una scadenza certa al 31.12.2012 per arsenico, boro ed altre sostanze, ma non per trialometani e cloriti. Il documento CE afferma chiaramente che l’arsenico è cancerogeno, e che per il boro bisogna scendere al limite di 0,5 ml/litro consigliato dall’OMS, mentre fino a tutto il 2012 se ne fornirà fino a 3 mg/l nella nostra provincia. Afferma altresì che l’acqua contenente queste due sostanze non deve essere somministrata ai bambini sotto i tre anni: limite lassista ed incomprensibile, visto che le deroghe della Regione Toscana fissavano per il boro il limite del non uso fino a 14 anni, una platea molto più ampia, anche se nessuno si curava di farlo sapere e rispettare. Come denuncia l’ISDE, associazione internazionale con cui Medicina democratica ha stretto un protocollo di collaborazione permanente, i tumori nei bambini crescono del 3,2% l’anno, il doppio della media europea, la percentuale più alta nel mondo occidentale. Una recentissima indagine epidemiologica della Regione Toscana sugli effetti della geotermia nelle due aree geotermiche di Larderello e dell’Amiata afferma che si sono osservati 535 morti in più ripetto alle attese stimate sulla popolazione toscana, e che la popolazione è esposta ad emissioni di arsenico e mercurio, mentre il boro è stato riversato per decenni nel fiume Cecina. Ormai da anni questi inquinanti raggiungono sistematicamente la costa e la Val di Cornia, e tramite la tubazione da Piombino, l’inquinamento geotermico raggiunge anche l’Elba. In questi giorni in tutti gli asili dell’Elba è stata vietata la somministrazione di acqua del rubinetto ai bambini. Ma l’atteggiamento delle autorità non sembra cambiare, ad esempio quando continuano ad affermare, mentendo, l’origine “naturale” degli inquinanti. In realtà è un intero sistema produttivo ed amministrativo che crolla, e continuare a minimizzare questo fallimento è una gravissima (ir)responsabilità in più. Su questo quadro già di per sé preoccupante e caotico, aleggia come uno spettro la privatizzazione (o meglio il completamento della privatizzazione) dell’acqua in Toscana e in Italia, ma allo stesso tempo si apre anche la battaglia per i referendum nazionali, per rimettere l’acqua nelle mani dei cittadini. In Toscana si andrebbe nel frattempo addirittura al “commissariamento” provvisorio, in vista di una super-autorità (sic) che metterà probabilmente tutta l’acqua in mano ad una multinazionale. Al peggio non c’è mai fine. 24.12.10 Maurizio Marchi

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