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giovedì 16 dicembre 2010

Nitrati annunciati, e non solo

I balletti sull’acqua potabile sono appena agli inizi, specialmente dopo la Decisione della Commissione europea del 28.10.10, che ha messo in luce la pessima gestione dell’acqua in Italia ed in Toscana, ed ha vietato ulteriori deroghe su alcuni inquinanti come arsenico e boro. Sui nitrati, già nel 2003 uno studio della Provincia di Livorno, mantenuto riposto nell’ultimo cassetto, ammoniva che “Purtroppo il progressivo peggioramento dello stato delle falde può mettere seriamente a rischio l’approvvigionamento idrico per i prossimi anni. …I nitrati nell’uomo determinano un doppio meccanismo di tossicità: la metaemoglobinemia, per cui i globuli rossi perdono la capacità di trasportare l’ossigeno ai tessuti con conseguenze gravissime anche a carico del sistema nervoso, e la formazione di nitrosammine che causano danni epatici e costituiscono una delle classi più pericolose di cancerogeni.” I più esposti sono i bambini sotto i tre anni. Le conclusioni dello studio sono drastiche: “Se non verranno applicate opere di bonifica con azioni di tutela quali-quantitativa della risorsa idrica, entro i prossimi 10 anni nessuno dei pozzi situato nella pianura fra il Fiume Fine ed il Fiume Cecina sarà in grado di fornire acqua potabile”. Ma il problema non era e non è limitato a quell’area: tutta la pianura costiera livornese è coinvolta, come dimostra il caso di San Vincenzo. Tanto poco è stato fatto in questi sette anni che il sindaco ha dovuto emettere una ordinanaza per vietare il consumo dell’acqua per eccesso di nitrati. Su questa ordinanaza sono subito piombati ASL e ASA a tranquillizzare che i nitrati sarebbero subito tornati entro i limiti di legge, come per miracolo. L’episodio è di una opacità incredibile, sia per i tempi velocissimi di soluzione del problema (“riparazione di un guasto”), sia perché l’ASL ammette che sta ancora attendendo le analisi del Laboratorio di Lucca: ma perché mai tali analisi devono essere fatte a Lucca, città che vende grandi quantità di acqua alla disastrata provincia di Livorno, in cambio dell’accoglienza dei suoi rifiuti a Rosignano-Scapigliato ? Il problema è molto più ampio e grave di quanto appaia: tutta la provincia di Livorno ha una pessima qualità dell’acqua: non solo nitrati, ma anche boro, arsenico, trialometani e cloriti. E non per cause geologiche naturali, come i nostri tutori continuano ad affermare, ma perché i grandi poli industriali e la geotermia consumano il grosso dell’acqua, e lasciano alla popolazione i resti, ovviamente di pessima qualità. In particolare San Vincenzo sopporta, oltre i nitrati, anche il boro in deroga ai limiti di legge, in concentrazione tre volte superiore a quanto raccomandato dalla Commissione europea, e addirittura sei volte superiore a quanto consigliato dall’Organizzazione mondiale della sanità. 1.12.2010 Tel. 0586-4845510 cell. 328-4152024 Maurizio Marchi (Responsabile prov.le)

No all’aumento delle tariffe dell’acqua

L’azienda mangiasoldi, semiprivatizzata nel 2004 in mano ad Iride di Torino, continua a batter cassa: a quei tempi ci dissero che la privatizzazione di ASA sarebbe servita a fare investimenti (di tasca loro) e a migliorare il servizio: niente di tutto ciò è avvenuto in questi sette anni. Tariffe sempre più alte, disservizi diffusi e qualità dell’acqua in rapido preoccupante peggioramento. Ora l’ATO, formato dai sindaci e presieduto da Pacini, sta decidendo di permettere ad ASA di aumentare di nuovo le tariffe: i cittadini dovrebbero sborsare 6 milioni di euro in più nei prossimi due anni, in un’area dove la tariffa è già molto alta, al contrario della qualità. Diffidiamo i sindaci dal concedere questo nuovo aumento: ATO e province di Livorno e Pisa alzino invece i canoni irrisori che pagano i grandi consumatori d’acqua come Solvay, raffineria, acciaierie, ecc, pochi centesimi di euro al metro cubo, invece di pensare a prendere i soldi da chi è più indifeso. E si metta finalmente mano alle bonifiche urgenti (trialometani, cromo, boro, arsenico ecc), per salvare quel poco che resta della risorsa acqua in provincia ed in particolare nella Val di Cecina, per tornare velocemente entro i limiti di legge per molti inquinanti, e per evitare le pesanti sanzioni che l’UE sta preparando a carico delle regioni italiane, come la Toscana, inadempienti sulle bonifiche. 18.11.10 Maurizio Marchi (Resp. prov.le)

giovedì 21 ottobre 2010

Amianto e non solo

Amianto e non solo Aprire un fronte di lotta a fianco dei lavoratori, contro le nocività sul lavoro e sul territorio. Sabato 23 ottobre alle ore 17 presso la sala di Via Sant’Andrea a Livorno Incontro pubblico con il prof. Giancarlo Ugazio (Patologia ambientale – Università di Torino) e l’avv. Ezio Bonanni (del Foro di Roma, impegnato in tutta Italia a sostegno dei lavoratori esposti all’amianto) L’emergere della strage da amianto a Livorno e provincia è solo all’inizio: solo poche le cause finora aperte in Tribunale, e riguardanti un numero limitato di lavoratori (qualche decina), mentre i lavoratori e i cittadini esposti sono migliaia, probabilmente decine di migliaia: dal porto alla cantieristica, dalla raffineria alla ex-Borma, alla Solvay, al polo siderurgico di Piombino, ecc. C’è un misto di disinteresse e/o sottovalutazione da parte dei sindacati e delle istituzioni locali, che deve essere superato dall’iniziativa dal basso dei cittadini e dalle famiglie degli esposti ed ex-esposti. L’incontro con i due esperti invitati a Livorno sarà uno strumento prezioso per sviluppare questa iniziativa dal basso, per avere giustizia, verità e risarcimenti. La presenza del prof. Ugazio renderà possibile anche la conoscenza della pericolosità dei trialometani presenti nell’acqua potabile (in deroga ai limiti di legge), del mercurio nel pesce ed altri inquinanti nell’ambiente. Aderiscono all’iniziativa: Libera Università Popolare “Alfredo Bicchierini”, Unione sindacale di base. Le adesioni sono aperte. Lavoratori e cittadini sono caldamente invitati a partecipare.

La cava di Riparbella è un problema di tutti

La nocività del materiale ofiolitico (rocce verdi, o grabbriccio nelle nostre zone) è nota da decenni. Medicina democratica la denuncia da molti anni, tanto più negli ultimi anni, da quando si prospettano nuove massicce escavazioni a servizio della costruzione dell’autostrada. E’ noto il caso di Biancavilla in provincia di Catania, in cui si sono dovuti intraprendere imponenti lavori di bonifica per neutralizzare precedenti massicci impieghi di rocce verdi. Sono noti altresì gli effetti cancerogeni sulla popolazione di Biancavilla, che è stata sottoposta a studi epidemiologici, trovandola colpita da malattie da esposizione all’amianto ben superiori alla media nazionale. Anche in Piemonte e in Emilia si sono attuate delle bonifiche simili, come al parcheggio della stazione centrale di Bologna. Sulla nocività delle “pietre verdi” si veda il DPR 8 agosto 1994, in particolare l’art. 4 “Predisposizione di programmi per dismettere l’attività estrattiva e realizzare la relativa bonifica dei siti”, mentre il Decreto del Ministero della Sanità del 14.5.1996 (GU 251 del 25.10.96 suppl. ord.) fissa i criteri per i controlli. Infine e soprattutto la legge 257/1992 (la legge fondamentale sull’amianto) vieta espressamente l’estrazione e la commercializzazione di amianto o prodotti contenenti amianto, come nel nostro caso il gabbriccio. Dopo queste leggi ci sono stati studi da parte di varie regioni, che confermavano la forte presenza di amianto in tali rocce. In Toscana la Provincia più coinvolta è quella di Pisa, in particolare la Val di Cecina, con decine di cave che la Provincia ha deciso di riaprire o di continuare a sfruttare, anche in relazione alla costruzione della nuova autostrada (1) Nonostante siano presenti e diffuse anche nella nostra zona cave che non contengono amianto (ad esempio materiale calcareo o basaltico), le autorità continuano incomprensibilmente a dare autorizzazioni all’escavo, come a quella di RIALDO, e nonostante sia sicuro che queste autorizzazioni comportano una esposizione della popolazione all’amianto. Queste autorizzazioni – come quella concessa dal Comune di Riparbella il 15 giugno 2010 - si basano sulla presunta non nocività dell’amianto sotto un certo limite, ma secondo molti ricercatori, tra cui Lorenzo Tomatis – per 12 anni Direttore dello IARC – il dott. Vito Totire docente all’Università di Venezia ed il prof. Giancarlo Ugazio non esiste soglia accettabile per le sostanze cancerogene, specialmente l’amianto. Anche una bassissima esposizione, anche una sola fibra, può causare il tumore alla pleura (mesotelioma), anche decine d’anni dopo l’esposizione. Ma nel caso di Rialdo, l’esposizione della popolazione sarebbe massiccia e continuata: secondo gli “indici di rilascio” di fibre d’amianto in atmosfera assunti da ARPAT ed ASL per questa cava (18,74 milligrammi per chilogrammo di materiale estratto (2)) moltiplicati per la quantità estraibile nei 15 anni di “messa in sicurezza” (sic), si sopporterebbe una emissione di ben 101.196 chilogrammi di fibre.(3) Oltre l’esposizione diretta, va sottolineato il larghissimo e crescente uso di rocce verdi triturate a sabbia nell’edilizia abitativa, che cresce con l’esaurirsi delle sabbie di fiume, e che coinvolge migliaia di lavoratori dell’edilizia e le stesse famiglie. La combinazione letale di esposizione ad amianto da rocce verdi e amianto da applicazioni industriali (navalmeccanica, impianti industriali come Solvay Acciaierie di Piombino e raffineria di Livorno) fa della provincia di Livorno una delle quattro in Italia – insieme a Taranto, Alessandria e Gorizia – in cui sono più numerosi i casi di mesotelioma 4). Dall’”Archivio dei mesoteliomi” della Regione Toscana risulta che la provincia di Livorno subisce il triplo dei mesoteliomi della media regionale (indice 7,67 contro 2,53), e sappiamo che gran parte – forse la maggioranza – del materiale escavato sulle prime colline, viene usato nei centri costieri come Cecina, Rosignano, Donoratico, ecc situati in Provincia di Livorno. Resta da indagare l’effetto del dilavamento delle piogge sulle cave e sulle strade a gabbriccio e quindi sull’infiltrazione di fibre d’amianto nelle falde acquifere e nelle acque superficiali, con conseguente inquinamento della catena alimentare locale, in un quadro già anomalo quanto preoccupante dello stato dell’acqua potabile distribuita da sette anni in deroga ai limiti di legge per l’arsenico, il boro, i trialometani e i cloriti.(5), senza contare cromo, mercurio, trielina, ecc. Come s’intuisce facilmente, il problema cava non è un problema limitato a Riparbella, ma all’intera Val di Cecina. Entro la fine di ottobre il Comune di Riparbella dovrebbe rilasciare l’ultima autorizzazione riguardante le “emissioni diffuse”: la popolazione colga l’occasione per costringere il comune ad ammettere di aver sbagliato finora e a negare l’autorizzazione finale, per il preminente interesse alla salute della popolazione. Contemporaneamente Medicina democratica chiede la chiusura e la messa in sicurezza di tutte le cave di rocce verdi della Val di Cecina, e l’accertamento degli effetti sulla salute della popolazione e dei lavoratori esposti. Note 1- sulla riapertura delle cave, si veda sul sito della Provincia di Pisa il comunicato del 26.2.2009 2- si veda il rapporto istruttorio dell’ASL al Comune di Riparbella dell’11.12.2009. 3 – il calcolo effettuato da Medicina democratica si basa su una quantità estraibile media, non sulla massima ipotizzata nell’autorizzazione comunale. Il calcolo è riportato sotto. 4 - Si veda lo Studio dell’Istituto Superiore di Sanità del 2002 di Mastrantonio, Belli , Comba ed altri. 5 – sull’acqua potabile, si veda la deroga regionale in vigore, Decreto 1587 del 9.4.2009, con i comuni coinvolti e i rispettivi inquinanti in deroga ai limiti di legge. Cava di Rialdo (Riparbella – Pisa) Rilascio in atmosfera di fibre d’amianto Indice di rilascio 18,74 milligrammi per chilogrammo (Relazione ASL 11.12.2009) mg 18,74 X 1000 = 18.740 mg per tonnellata = 18,74 grammi di rilascio di amianto per tonnellata di materiale estratto. Materiale estraibile 3.600.000 metri cubi (400.000 mc per 9 moduli = 3.600.000 mc. Il range autorizzato dal comune, su indicazione della Provincia di Pisa, è tra i 100.000 e i 600.000 mc per modulo. Peso specifico stimato del materiale escavato 1 Metro cubo = 1,5 tonnellate 3.600.000 X 1,5 = 5.400.000 tonnellate 5.400.000 tonnellate di materiale estraibile X 18,74 grammi di rilascio per tonnellata = 101.196.Kg di fibre rilasciate in atmosfera Cioè 101.196 chilogrammi di amianto rilasciate in atmosfera, qualora l’estrazione di materiale sia di 3.600.000 metri cubi, basandoci sul dato di “indice di rilascio” di ARPAT 2007, riportato nella relazione della ASL 6 dell’11.12.2009. A questa quantità va aggiunta la quantità di fibre che si mobilizzerebbe negli anni nei luoghi di destino del gabbriccio (strade, piazzali, murature ecc), in aria e nell’acqua. 23.9.10 Maurizio Marchi (Resp. Livorno e Val di Cecina)

sabato 10 luglio 2010

Presentato il ricorso al consiglio di stato per bloccare il programma nucleare del governo

Tramite l’avvocato Mattia Crucioli, abbiamo * registrato a Roma il ricorso al Consiglio di Stato per annullare l’illegittimo decreto del governo (avallato da regione, provincia e comune) che, invece della bonifica) autorizza la Sogin ad allestire a Bosco Marengo (Alessandria) un deposito (poco più di un vulnerabilissimo capannone) di scorie nucleari: giustificato come “temporaneo”, sine die, a tempo indeterminato. Dunque definitivo, in assenza di un deposito nazionale ultrasicuro per millenni ad accogliere l’eredità delle vecchie centrali: previsto dalla legge ma non in costruzione anzi neppure individuato come localizzazione. Se la sentenza sarà favorevole, conquisteremo in Italia l’uscita dall’eredità nucleare, conquisteremo il precedente giuridico a favore di tutti gli ex siti nucleari italiani altrimenti destinati definitivamente a depositi di se stessi con pericolo immane per le generazioni presenti e future, e conquisteremo di fatto il blocco del piano nucleare del governo costretto finalmente a risolvere l’eredità dei depositi locali e obbligato in prima istanza a costruire -secondo legge- un deposito nazionale ultrasicuro per millenni, senza poter procedere nel frattempo a qualsivoglia nuova centrale nucleare. Se la sentenza sarà sfavorevole, non ci resterà che il referendum. Dunque una sentenza di importanza nazionale. Dunque una sottoscrizione di importanza nazionale. Il costo iniziale del ricorso è previsto in circa 10 mila euro, una somma enorme, interamente da reperire tramite la sottoscrizione popolare (aggiorneremo gli elenchi dei sottoscrittori). Scegliendo tra i due seguenti numeri di conto corrente. specificare sempre la causale: "Nucleare Alessandria" conto corrente bancario, intestato a Medicina Democratica Scrl C/C 10039 ABI 05584 CAB 01708 CIN W Codice IBAN - IT50W0558401708000000010039 oppure conto corrente postale n. 22362107 intestato a Pro Natura Torino Via Pastrengo 13, 10128 Torino.

statistica ufficiale tumori toscana

Statistica ufficiale dei tumori in Toscana da leggere!!!

venerdì 9 luglio 2010

Nuovo esposto alla magistratura sull’inquinamento in Val di Cecina

Nuovo esposto alla magistratura sull’inquinamento in Val di Cecina MD ha inviato un nuovo esposto alla magistratura per l’individuazione e l’incriminazione dei responsabili dell’inquinamento da mercurio della Val di Cecina, in particolare del sito Canova (nei pressi del ponte per Montegemoli), alla luce di alcuni importanti fatti nuovi. Questa associazione avanzava fin dal 2002 esposti ed aggiornamenti sulla situazione di grave inquinamento nel sito Canova, e conseguente pericolo per la salute pubblica. Nel 2003 si richiamava l’attenzione della magistratura sullo Studio del CNR Pisa, commissionato dall’INAIL, che confermava la presenza anomala nelle varie matrici ambientali (acqua, aria, suolo, prodotti vegetali) di mercurio nel sito. Nonostante il sito sia stato inserito dalla Regione Toscana fin dal lontano 1999 nella lista dei siti inquinati necessitanti di bonifica urgente, a causa delle presunte difficoltà ad individuare i soggetti responsabili della bonifica, a tutt’oggi si attende ancora tale bonifica. Prova ne sia il recente articolo de “Il Tirreno” cronaca di Volterra del 20.5.10, dal quale si ricava l’orientamento della Provincia di Pisa ad autorizzare l’ampliamento della discarica di Bulera (Comune di Pomarance) a patto che la SCL dia finalmente corso alla bonifica del sito Canova . In questa lunga vicenda di rinvii ed immobilismo in danno alla salute pubblica, si inserisce un fatto nuovo, di notevole importanza, costituito dalla sentenza della Corte d’appello di Firenze – Sezione lavoro e previdenza – RGN 276/2007 (Cons. rel. Dott. Amato Fabrizio, udienza 9.2.2010), che riconosce a R. B., agricoltore, la natura professionale dell’idrargirismo (malattia da esposizione a mercurio), per aver lavorato – a sua insaputa – nel sito Canova inquinato da mercurio. Canova è un ampio sito costituito da terreni arabili, posto sulla sinistra idrografica del fiume Cecina, con al centro un laghetto formatosi con lo sprofondamento della superficie, dopo che per decenni era stato estratto salgemma dal sottosuolo dai vari gestori (ENI; Solvay, SCL) dell’impianto cloro di Saline di Volterra, iniettandovi acqua inquinata da mercurio, riciclata dall’impianto industriale stesso. Il mercurio accumulato nel laghetto e nei terreni circostanti, data la prossimità al fiume Cecina, inquina continuamente la falda lì presente e il fiume stesso, entrando stabilmente nella catena alimentare. A quanto si sa, è la prima volta in Italia che ad un cittadino, NON lavoratore di fabbriche in cui si usa mercurio, viene riconosciuta la malattia professionale da esposizione a questa sostanza tossica: questo apre la strada ad altri cittadini della Val di Cecina, che sono stati esposti in massa per decenni, ed hanno contratto danni alla salute. Maurizio Marchi (Responsabile di zona Livorno e Val di Cecina) Comunicazioni a Maurizio Marchi, via Cavour 14 57013 Rosignano Solvay (LI) cell 328-4152024

mercoledì 26 maggio 2010

Altro che cambiare le traversine, devono spostare il binario di manovra. Il Comune lo deve imporre a Solvay.

Sezione di Livorno e della Val di Cecina Altro che cambiare le traversine, devono spostare il binario di manovra. Il Comune lo deve imporre a Solvay. Dopo il disastro di Viareggio, tutto è cambiato a Rosignano, o almeno dovrebbe esserlo, ad eccezione degli struzzi. Le ferrocisterne ad alto rischio non devono più manovrare e sostare nel centro di Rosignano, e tutta la manovra ferroviaria deve essere spostata a sud dello stabilimento, dove sono già presenti i piazzali di carico e sosta dei camion cisterna, e raccordata alla linea Collesalvetti-Pisa che – altra novità da valorizzare – è stata elettrificata pochi anni fa. E’ una semplice misura di buon senso, che fa giustizia di una urbanizzazione pensata un secolo fa, e che va nella direzione di escludere dal rischio inutile d’incidente grave non solo Rosignano, ma anche la più popolata città di Livorno, per il transito. Invece, dimostrando di vivere su un pianeta tutto suo, in questi giorni Solvay sta cambiando le vecchie traversine dei binari di manovra, sotto gli occhi complici dell’Amministrazione comunale, dimostrando di voler continuare a manovrare in centro ancora per molti anni. Protestiamo vibratamente per questo ulteriore gravissimo atto di prepotenza di Solvay nei confronti della cittadinanza, coperto dal Comune, mentre rincariamo la dose sul disprezzo per le più elementari misure di sicurezza con il perpetuo fuori-uso della manica a vento(*), mentre un senzatetto, ignaro del rischio d’intossicazione che corre, si è arrangiato un rifugio di cartone sotto la scaletta di fuga dai binari di manovra. A questo senzatetto sia trovata subito una sistemazione adeguata, accompagnata dalle scuse di Solvay e del Comune. (*)indispensabile per segnalare ai lavoratori e ai cittadini la direzione in cui scappare in caso di fughe tossiche. Allegate foto 1- dei lavori in corso per la sostituzione delle traversine 2- della manica a vento fuoriuso 3- del rifugio sotto la scaletta di fuga dai binari in piazza Repubblica 25.5.10 Maurizio Marchi

Acqua pubblica …. e pulita

Medicina democratica aderisce alla campagna referendaria nazionale per ripubblicizzare l’acqua. Dal sito www.acquabenecomune.org Breve guida ai questiti referendari PRIMO QUESITO: fermare la privatizzazione dell’acqua Si propone l’abrogazione dell’art. 23 bis (dodici commi) della Legge n. 133/2008 , relativo alla privatizzazione dei servizi pubblici di rilevanza economica. È l’ultima normativa approvata dal Governo Berlusconi. Stabilisce come modalità ordinarie di gestione del servizio idrico l’affidamento a soggetti privati attraverso gara o l’affidamento a società a capitale misto pubblico-privato, all’interno delle quali il privato sia stato scelto attraverso gara e detenga almeno il 40%. Con questa norma, si vogliono mettere definitivamente sul mercato le gestioni dei 64 ATO (su 92) che o non hanno ancora proceduto ad affidamento, o hanno affidato la gestione del servizio idrico a società a totale capitale pubblico. Queste ultime infatti cesseranno improrogabilmente entro il dicembre 2011, o potranno continuare alla sola condizione di trasformarsi in società miste, con capitale privato al 40%. La norma inoltre disciplina le società miste collocate in Borsa, le quali, per poter mantenere l’affidamento del servizio, dovranno diminuire la quota di capitale pubblico al 40% entro giugno 2013 e al 30% entro il dicembre 2015. Abrogare questa norma significa contrastare l’accelerazione sulle privatizzazioni imposta dal Governo e la definitiva consegna al mercato dei servizi idrici in questo Paese. SECONDO QUESITO : aprire la strada della ripubblicizzazione Si propone l’abrogazione dell’art. 150 (quattro commi) del D. Lgs. n. 152/2006 (c.d. Codice dell’Ambiente), relativo ala scelta della forma di gestione e procedure di affidamento, segnatamente al servizio idrico integrato. L’articolo definisce come uniche modalità di affidamento del servizio idrico la gara o la gestione attraverso Società per Azioni a capitale misto pubblico privato o a capitale interamente pubblico. L’abrogazione di questo articolo non consentirebbe più il ricorso né alla gara, né all’affidamento della gestione a società di capitali, favorendo il percorso verso l’obiettivo della ripubblicizzazione del servizio idrico, ovvero la sua gestione attraverso enti di diritto pubblico con la partecipazione dei cittadini e delle comunità locali. Darebbe inoltre ancor più forza a tutte le rivendicazioni per la ripubblicizzazione in corso in quei territori che già da tempo hanno visto il proprio servizio idrico affidato a privati o a società a capitale misto. TERZO QUESITO : eliminare i profitti dal bene comune acqua Si propone l’abrogazione dell’’art. 154 del Decreto Legislativo n. 152/2006 (c.d. Codice dell’Ambiente), limitatamente a quella parte del comma 1 che dispone che la tariffa per il servizio idrico è determinata tenendo conto dell’ “adeguatezza della remunerazione del capitale investito”. Poche parole, ma di grande rilevanza simbolica e di immediata concretezza. Perché la parte di normativa che si chiede di abrogare è quella che consente al gestore di ottenere profitti garantiti sulla tariffa, caricando sulla bolletta dei cittadini un 7% a remunerazione del capitale investito, senza alcun collegamento a qualsiasi logica di reinvestimento per il miglioramento qualitativo del servizio. Abrogando questa parte dell’articolo sulla norma tariffaria, si eliminerebbe il “cavallo di Troia” che ha aperto la strada ai privati nella gestione dei servizi idrici, avviando l’espropriazione alle popolazioni di un bene comune e di un diritto umano universale. I quesiti referendari Estensori: Gaetano Azzariti (ordinario di diritto costituzionale Università di Roma La Sapienza) Gianni Ferrara (emerito di diritto costituzionale Università di Roma La Sapienza) Alberto Lucarelli (ordinario di diritto pubblico Università di Napoli Federico II) Ugo Mattei (ordinario di diritto civile Università di Torino) Luca Nivarra (ordinario di diritto civile Università di Palermo) Stefano Rodotà (emerito di diritto civile Università di Roma La Sapienza) Primo quesito: «Volete voi che sia abrogato l’art. 23 bis (Servizi pubblici locali di rilevanza economica) del decreto legge 25 giugno 2008 n. 112 “Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria” convertito, con modificazioni, in legge 6 agosto 2008, n. 133, come modificato dall’art. 30, comma 26 della legge 23 luglio 2009, n. 99 recante “Disposizioni per lo sviluppo e l’internazionalizzazione delle imprese, nonché in materia di energia” e dall’art. 15 del decreto-legge 25 settembre 2009, n. 135, recante “Disposizioni urgenti per l’attuazione di obblighi comunitari e per l’esecuzione di sentenze della corte di giustizia della Comunità europee” convertito, con modificazioni, in legge 20 novembre 2009, n. 166?» Secondo quesito: «Volete voi che sia abrogato l’art. 150 (Scelta della forma di gestione e procedure di affidamento) del Decreto Legislativo n. 152 del 3 aprile 2006 “Norme in materia ambientale”, come modificato dall’art. 2, comma 13 del decreto legislativo n. 4 del 16 gennaio 2008 Terzo quesito: «Volete voi che sia abrogato il comma 1, dell’art. 154 (Tariffa del servizio idrico integrato) del Decreto Legislativo n. 152 del 3 aprile 2006 “Norme in materia ambientale”, limitatamente alla seguente parte: “dell’adeguatezza della remunerazione del capitale investito”?» Ma privatizzatori ed inquinatori abbondano Nel nostro territorio l’acqua è stata (parzialmente) privatizzata 6 anni fa, nel 2004, quando ASA divenne Società per Azioni, con il patrimonio idrico, distributivo, immobiliare pubblici … Nella nostra provincia si oppose solo il sindaco di Suvereto Rossano Pazzagli, mentre tutti gli altri tacquero o annuirono. Qualcuno, come il sindaco di Livorno Lamberti, fece anche di più introducendo ASA come compartecipe nel business del rigassificatore OLT, per “valorizzare” l’azienda e venderla ad un prezzo maggiore (comunque di svendita). Presidente di ASA al tempo era Paolo Rotelli, ex-democristiano, poi PD, oggi funzionario dell’ONU …. ASA fu acquistata per il 40% da Amga Genova poi da Iride Torino. I risultati sono sotto gli occhi di tutti: 40 % di perdite in rete, nessun investimento, bollette in aumento, continua ricerca di fondi, anche in maniera molto opaca come con il progetto d’invaso di Puretta a Volterra (cava mascherata da invaso da 500.000 metri cubi, di cui 300.000 sarebbero persi in rete !). Ricordiamo inoltre il raid privatizzatore di Veltroni nel gennaio 2008, quando l’allora sindaco di Roma, dopo aver già regalato l’acqua di Roma ad ACEA-Electrabel (oggi Suez), venne in Toscana per tentare la privatizzazione in 110 comuni. E’ così che il duo Veltroni-Lanzillotta ha regalato, oltre l’acqua, anche la capitale ad Alemanno…. Ma l’aspetto più irritante è quello della fornitura in Toscana di acqua inquinata in deroga ai limiti di legge da ben 9 anni. Dato che anche su questo aspetto ci sono degli scettici, pubblichiamo la deroga in vigore (stralci) con i comuni coinvolti. Ci sono circa 606.000 cittadini toscani coinvolti in questo avvelenamento legalizzato, tra cui Livorno è l’unico capoluogo di provincia, la Provincia di Livorno è l’unica con tutti i comuni coinvolti (compresa l’Elba), il resto dei comuni sono quasi tutti in provincia di Pisa. Non c’è informazione della popolazione né piani di bonifica, come prescrive la legge; e non si possono reiterare le deroghe, tanto che la Commissione europea ha avocato a sé l’ultima deroga toscana (n. 3608 del 24.7.2009) che riguarda il terzo triennio consecutivo, incaricando una Commissione scientifica per valutare il danno alla salute della popolazione. Acqua inquinata per legge Ecco il testo della deroga in vigore REGIONE TOSCANA-GIUNTA REGIONALE Decreto N° 1587 del 09 Aprile 2009 Allegati n°: 1 Decreto Concessione Deroghe ai parametri previsti dal D. Lgs 31/01 - Art. 13 - Acque destinate al Consumo umano. IL DIRIGENTE VISTA la Legge Regionale 8 Gennaio 2009 n.1 "Testo unico in materia di organizzazione e ordinamento del personale”; ……… ……… RICHIAMATO il decreto emesso dalla Regione Toscana n. 754 del 29 febbraio 2008 con il quale sono state concesse deroghe , fino al 31/12/2008, ai valori dei parametri di cui al punto precedente per periodi conformi a quelli stabiliti nel relativo Decreto Ministeriale; CONSIDERATO che i parametri per i quali è richiesta deroga su specifiche aree individuate sono Clorito e Trialometani ,prodotti della disinfezione ,e Boro e Arsenico, connessi con le caratteristiche geologiche delle aree; CONSIDERATO che per il loro rientro sono necessari interventi attuabili nei tempi previsti dal D.lgs.31/01 e che pertanto è necessario ricorrere all’esercizio della deroga; VISTI i piani relativi alla necessaria azione correttiva presentati dai Gestori del Servizio Idrico Integrato congiuntamente con le Autorità di Ambito , contenenti -interventi tecnici sulla rete idrica e sugli impianti -ricerca di nuova fonti di approvvigionamento -calendario dei lavori -la stima dei costi ……………….. RITENUTO necessario che i gestori degli acquedotti sopra menzionati attuino i piani degli interventi predisposti per il superamento delle criticità e volti al risanamento della risorsa idrica oggetto di deroga nei tempi indicati dalle relazioni presentate al Ministero della Salute; ………….VISTO l’art. 13, comma 11 del D.lgs.31/2001 ,che cita: “La Regione o Provincia autonoma che si avvale delle deroghe di cui al presente articolo provvede affinché la popolazione interessata sia tempestivamente e adeguatamente informata delle deroghe applicate e delle condizioni che le disciplinano. Ove occorra, la Regione o Provincia autonoma provvede inoltre a fornire raccomandazioni a gruppi specifici di popolazione per i quali la deroga possa costituire un rischio particolare. Le informazioni e raccomandazioni fornite alla popolazione fanno parte integrante del provvedimento di deroga.”; CONSIDERATO che il D.M. del 29.12.2008 pubblicato su Gazzetta Ufficiale n. 67 del 21.3.2009 indica che, in attuazione dell’art. sopracitato, la Regione Toscana deve provvedere ad informare la popolazione interessata relativamente alla elevata concentrazione dei predetti parametri e deve fornire consigli a gruppi specifici di popolazione per i quali potrebbe sussistere un rischio particolare; Relativamente al parametro Boro la popolazione deve essere informata che , in via precauzionale ,il consumo dell’acqua da bere non è consigliato ai soggetti di età inferiore ai 14 anni. PRESO ATTO che il D.M. del 29.12.2008 pubblicato su Gazzetta Ufficiale n. 67 del 21.3.2009 stabilisce che è rimessa all’autorità regionale la verifica, per quanto concerne le industrie alimentari presenti nel territorio interessato dal provvedimento di deroga, degli effetti sui prodotti finali, soprattutto se destinati alla distribuzione oltre i confini del suddetto territorio e la tempestiva comunicazione al Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche sociali qualora dai controlli effettuati risultasse un potenziale rischio per la salute umana; ………….. DECRETA 1. Di stabilire, il rinnovo delle deroghe ai valori di parametro fissati nell’allegato I, parte B del Decreto legislativo 2 febbraio 2001, n. 31, per i parametri boro, arsenico, clorito e trialometani, entro i valori stabiliti dalle seguenti tabelle specifiche per ogni Comune; 2. Di stabilire che la deroga per i suddetti Valori Massimi Ammissibili è concessa fino al 31.12.2009; 3. Di imporre alle Autorità di Ambito interessate dai provvedimenti di deroga di adottare tutte le misure possibili e necessarie a garantire il ripristino della qualità delle acque erogate, modulando, ove necessario, il programma di interventi di cui all'art. 11, comma 3 della Legge 36/94, che è parte integrante del Piano d'Ambito; 4. Di prescrivere a ciascun gestore del servizio idrico integrato di attuare i programmi degli interventi predisposti per il superamento delle condizioni di criticità di erogazione, nel rispetto della tempistica predefinita; 5. Di indicare agli stessi gestori di attuare uno specifico piano di controllo al fine di verificare che la concentrazione dei parametri oggetto di deroga non superi il valore massimo ammissibile concesso e di accertare che non vi siano peggioramenti della qualità delle acque destinate al consumo umano; 6. Di indicare alle Aziende USL di predisporre, concordemente con i Gestori del Servizio Idrico integrato, uno specifico piano al fine di intensificare i controlli per i comuni ai quali sono state concesse deroghe per due o più parametri; 7. Di incaricare le Aziende USL e i Gestori del Servizio Idrico Integrato di comunicare alla Regione Toscana , almeno trimestralmente, i risultati dei controlli di cui ai punti 5.6. del presente decreto; 9. Di precisare che la valutazione di eventuali futuri rinnovi delle deroghe che i gestori potrebbero richiedere alla Regione Toscana in attuazione dell’art. 13 del D. Lgs. 31/2001, è condizionata al rispetto dell’attuazione dei programmi degli interventi di cui al precedente punto3.; 10. Di incaricare le Aziende USL competenti per le aree territoriali interessate dai parametri in deroga, di informare, congiuntamente con i Sindaci dei comuni in deroga, la popolazione interessata e procedere a ulteriori informazioni a particolari gruppi di utenti per i quali potrebbe sussistere un rischio particolare, come previsto dal D.M. del 29.12.2008 pubblicato su Gazzetta Ufficiale n. 67 del 21.3.2009,in aggiunta a quanto disposto all’art. 13, comma 11 del D.lgs.31/2001 .In particolare la suddetta informazione dovrà essere ancor più dettagliata per la popolazione dei comuni nel cui territorio viene distribuita acqua con due o più valori di parametro in deroga; 11. Di incaricare i Sindaci dei Comuni interessati quali autorità sanitarie competenti per il territorio, di assicurare in accordo con le Aziende USL, la diffusione delle informazioni di cui al punto 10 del presente decreto; 12. Di incaricare i Sindaci dei comuni in deroga ,entro un mese dalla pubblicazione del seguente decreto, di trasmettere alla Regione Toscana i provvedimenti intrapresi relativamente a quanto previsto al punto 10 del presente decreto 13. Di incaricare le Aziende Sanitarie di effettuare la verifica del rispetto degli obblighi in capo all’impresa alimentare previsto dalla normativa vigente con particolare riguardo alla valutazione del potenziale rischio per la salute umana causato dall’utilizzo di acque in deroga ; 13. Di dare comunicazione del presente decreto ai Gestori del Servizio del Idrico Integrato, alle Aziende USL competenti per il territorio, ai Presidenti ATO all'Agenzia Regionale di Protezione Ambientale ,ai Sindaci dei Comuni interessati alla deroga e ai Ministeri della Salute e dell’Ambiente; Il presente provvedimento , soggetto a pubblicità ai sensi della legge 349/86 art.14 comma 3,è pubblicato per intero sul Bollettino Ufficiale della Regione Toscana ai sensi dell'art.3,comma 1 della Legge Regionale n. 18/96. Il Dirigente GILDA RUBERTI Allegato (stralcio area ASA) ATO 5 GESTORE ASA Piombino Boro 3 mg/l Piombino Rio. Boro 3.5 mg/l Campiglia M. Boro 2.5 mg/l S.Vincenzo Boro 3 mg/l Suvereto Boro 2.5 mg/l Campo Elba Boro 3 mg/l Capoliveri Boro 3 mg/l Rio Marina Boro 3 mg/l Rio Elba Boro 3 mg/l Marciana Boro 3 mg/l Marciana M. Boro 3 mg/l Porto Azzurro Boro 3 mg/l Portoferraio Boro 3 mg/l Cecina Boro 2 mg/l Montecatini Boro 2 mg/l Marciana M. THM 80 ug/l Marciana THM 80 ug/l Rio Elba THM 80 ug/l Campo Elba THM 60 ug/l Castellina M.ma THM 60 ug/l Cecina THM 80 ug/l Collesalvetti THM 80 ug/l Montecatini THM 80 ug/l Monteverdi THM 60 ug/l Orciano THM 60 ug/l Pomarance THM 80 ug/l Radicondoli THM 80 ug/l Riparbella THM 80 ug/l Rosignano THM 80 ug/l Santa Luce THM 80 ug/l Suvereto THM 60 ug/l Volterra THM 80 ug/l Castelnuovo THM 80 ug/l Guardistallo THM 60 ug/l Livorno THM 60 ug/l 156274 49900 Sassetta THM 60 ug/l Campiglia M. Arsenico 20 ug/l Castelnuovo V. Arsenico 50 ug/l Piombino Arsenico 20 ug/l Pomarance Arsenico 50 ug/l Radicondoli Arsenico 50 ug/l Suvereto Arsenico 20 ug/l Campo Elba Arsenico 30 ug/l Capoliveri Arsenico 20 ug/l Rio Marina Arsenico 20 ug/l Rio Elba Arsenico 30 ug/l Marciana Arsenico 30 ug/l Marciana M. Arsenico 30 ug/l Porto Azzurro Arsenico 20 ug/l Portoferraio Arsenico 30 ug/l ----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- Repubblica 23.4.10 ACQUA Dai rubinetti rischi per neonati e ragazzi "Sostanze tossiche 5 volte superiori al lecito" Un comitato scientifico incaricato dalla Commissione europea lancia l'allarme sulla qualità delle acque potabili italiane. Nelle tubazioni elementi tollerati dagli adulti ma pericolosi per i bambini e i giovani nell'età dello sviluppo BRUXELLES - Neonati e ragazzi corrono rischi nel bere acqua che viene dai rubinetti delle case italiane, contaminata - a quanto pare - da arsenico, boro e fluoruro che, in alcune Regioni, superano di cinque volte i livelli consentiti dalle norme europee. Ad dirlo è il comitato scientifico incaricato dalla Commissione Ue di dare un parere sulle acque potabili nel nostro Paese. E' stato il risultato di una analisi delle tubazioni lungo le quali scorrono livelli di sostanze tossiche che, se non sono immediatamente pericolose per gli adulti, pongono però dei rischi per i ragazzi in età dello sviluppo e soprattutto per i neonati. L'Italia, che per nove anni ha agito in regime di deroga rispetto alla direttiva Ue sulle acque, dovrebbe uniformarsi alle regole europee entro il 2012, come chiesto da Bruxelles. Ma qualche mese fa ha chiesto una proroga dei termini. La Commissione Ue dovrà decidere nelle prossime settimane se concederla o meno, e la sua decisione si baserà anche sul parere del comitato scientifico. Medicina democratica 31.3.10 Acqua inquinata, tra deroghe e privatizzazione Lo stato dell’acqua è forse il miglior indicatore per valutare lo stato complessivo di un territorio, ed in Toscana l’acqua sta male. Dal sito stesso della Regione sappiamo che il sistema toscano pesa sll’acqua quanto 12,2 milioni di abitanti equivalenti, molto di più dei 3,5 milioni di effettivi cittadini. Tre quarti di questo peso è dato dall’industria, mentre solo il restante quarto dall’agricoltura. E’ un peso che incide sulla quantità, ma inevitabilmente anche sulla qualità dell’acqua. La Relazione sullo stato dell’ambiente 2009 in Toscana, a pag. 172 afferma che l’88 per cento delle nostre fonti (pozzi, sorgenti, derivazioni, ecc) sono nella classe peggiore, la classe A3, la cui acqua per essere resa potabile richiede un “trattamento fisico e chimico spinto, affinazione e disinfezione”. Eravamo già all’82% nel 2006. In altre parole, il grosso dell’acqua in Toscana è usata e inquinata dall’industria, secondariamente dall’agricoltura, e quella poca che resta per la popolazione, è molto inquinata, ci costa molto per depurarla un po’, e per di più ce la dobbiamo bere in deroga ai limiti di legge, come vedremo più oltre. Tutto ciò fa strame dei principi della legge Galli (36/1994) che ridabiva le priorirità: nei consumi di questo bene primario, il primo posto spetta ai consumi civili, secondariamente all’agricoltura, e quel che resta all’industria. L’esatto opposto di quanto avviene nella realtà toscana. Restringendo lo sguardo a livello della provincia di Livorno, questo stravolgimento risulta evidentissimo. Il polo petrolifero di Livorno consuma 67 milioni di metri cubi l’anno di acqua dolce (cosidetta “industriale”, cioè acqua buona, ma inquinata a monte), quello Solvay 18 milioni e quello di Piombino almeno 10 milioni: sommano 95 milioni di mc/anno, a cui occorre aggiungere quelli dei due porti principali e delle attività industriali minori. Di contro ASA fornisce alla popolazione 29 milioni di mc/anno (Bilancio socio-ambientale 2007), forse un quinto dei consumi industriali complessivi. Raschiando il fondo del barile, come visto sopra, l’acqua rimasta alla popolazione va depurata con dosi sempre più massicce di cloro, che ci ritroviamo al rubinetto sotto forma di trialometani cancerogeni e cloriti. Ed ancora non basta, perché ci viene fornita anche acqua all’arsenico e al boro, oltre i limiti di legge. La disastrosa situazione dell’acqua in Italia indusse il governo centrale ad emettere un decreto (DM 31/2001) che concedeva alle Regioni la possibilità di emettere deroghe ai limiti di legge nazionali sugli inquinanti nell’acqua potabile. La Toscana “da cartolina” poteva rifiutare la possibilità concessa e fornire acqua buona ai propri cittadini. Ma non fu così: si avvalse subito del decreto, cominciando ad emettere deroghe per trialometani, cloriti, arsenico e boro, coinvolgenti aree sempre più estese della nostra regione. E quel che è peggio, senza informare la popolazione (quanti sentono parlare dell’argomento per la prima volta da queste righe ?) e senza avviare piani di bonifica e risanamento della qualità dell’acqua, nonostante informazione e piani di bonifica siano espressamente previsti nel decreto, e siano condizione indispensabile all’emissione delle deroghe. Le ultime emesse dalla Regione Toscana (n. 754 del 2008, n.1587 del 9.4.2009, n. 3608 del 24.7.09) richiamano espressamente l’obbligo di informare la popolazione, addirittura di “fornire consigli a gruppi specifici di popolazione” particolarmente a rischio, come ad esempio i giovani sotto i 14 anni per il boro, ma non traduce in fatti concreti il dovere d’informazione, che deve far capo anche ad ASL e sindaci. Peggio ancora per i piani di bonifica, che non esistono, o dove esistono sono mangiatoie per la “casta”. Ad esempio, nel 2003 – dopo anni di proteste di MD e della popolazione – fu fatto un progetto di bonifica della val di Cecina, inquinata da arsenico, boro, mercurio, cromo, ecc (il Progetto “Cecina bacino pilota”) con lo stanziamento di ben 35 milioni di euro. Ad oggi nessuno degli interventi di bonifica è stato concluso (o neanche avviato), si continua a bere acqua in deroga, e i 35 milioni sembra che stiano disperdendosi in mille rivoli senza risultati. Da notare che dal 2008 è coinvolta nella deroga regionale anche la città di Livorno, per i trialometani (cloroderivati cancerogeni, come il cloroformio) , completando il coinvolgimento di TUTTA la provincia, da Collesalvetti all’ultimo comune dell’Elba. Da notare inoltre che diversi comuni, come Cecina e Piombino, sono coinvolti per due o più inquinanti , ciò che moltiplica il rischio sanitario per la popolazione. Il sistema toscano dell’acqua va talmente bene che nei mesi scorsi, dopo la deroga del luglio 2009, la Commissione Europea ha avocato a sé la verifica su tutta la gestione dell’acqua per il consumo umano in Toscana, come prevede il decreto 31/2001 al terzo triennio continuato di deroghe. In quest’ultima deroga (decreto n. 3608 del 24.7.09) caduta nel mirino della CE la specifica dei comuni e degli inquinanti coinvolti è addirittura definita “non pubblicabile” (vedere sul sito della Regione), ciò che dovrebbe rendere addirittura NULLO il decreto stesso, in quanto privo di una “parte integrante” di esso. Su questo quadro già di per sé preoccupante e caotico, aleggia come uno spettro la privatizzazione (o meglio il completamento della privatizzazione) dell’acqua in Toscana e in Italia, ma allo stesso tempo si apre anche la battaglia per i referendum nazionali, per rimettere l’acqua nelle mani dei cittadini.

INQUINAMENTO E TUMORI A LIVORNO

“I dati raccolti non lasciano dubbi sulla realtà: in Italia la crescita dei casi di tumori è a livelli da epidemia. Se si analizza l'avanzata del male bisogna porsi due domande, dove e perché, che aprono scenari ancora più inquietanti. Dove aumentano i casi di cancro? In tutta Italia, con una concentrazione micidiale in 54 aree che comprendono 311 comuni…Quelle zone di crisi disegnano una radiografia della Penisola avvelenata” (L’Espresso, 24 maggio 2007). Fra le 54 aree più “colpite” da questa “epidemia” ci sono Livorno e la sua provincia. D’altra parte come meravigliarsene: a Livorno gli insediamenti industriali, il porto, l’inceneritore dell’AAMPS, le centrali per la produzione di energia elettrica dell’ENEL e dell’ENI sono tutti situati a ridosso del centro abitato mentre il traffico autoveicolare non è mai stato adeguatamente regolamentato. Il polo chimico di Rosignano Solvay e quello industriale di Piombino sono anch’essi incuneati in zone densamente popolate. Il risultato è sotto gli occhi di tutti, come dimostrano drammaticamente anche queste cifre che ricaviamo dalle pubblicazioni della Regione Toscana “Morti per causa” del 1998 e del 2006: “Morti per causa” 1998 (maschi) Tumori : Livorno 34,8 % - media toscana 33,8 % Leucemie : Livorno indice 9,3 – media toscana 7,9 Malformazioni congenite: Livorno indice 4,1 – media toscana 3,5 Mortalità infantile: Livorno indice 6,86 - media toscana 4,93 “Morti per causa” 2006 (maschi) Tumori : Livorno 35,9 % - media toscana 35,2% Leucemie : Livorno indice 7,8 - media toscana 7,3 Malformazioni congenite : Livorno indice 1,8 – media toscana 2,7 Mortalità infantile : Livorno indice 3,12 – media toscana 2,99 Mesotelioma pleurico per esposizione ad amianto (Archivio regionale mesoteliomi maligni 1998/2000) Livorno indice 7,67 - media toscana 2,5 I quartieri più colpiti sono quelli a nord-est Non è certamente casuale che l’”Analisi socio sanitaria della popolazione nelle circoscrizioni del Comune di Livorno” realizzata dalla Regione Toscana fa emergere “l’area a nord-est della città come la più svantaggiata in termini di salute, contro la zona litoranea ad ovest e tutta la parte a sud. La zona industriale mostra i rischi relativamente più alti per entrambi i sessi e per quasi tutte le cause di decesso (malattie apparato respiratorio e tumore)”.Anche lo “STUDIO LONGITUDINALE TOSCANO: UN’ANALISI PER QUARTIERE PER LE CITTÀ DI FIRENZE E LIVORNO”, realizzato nel 1999 da Annibale Biggeri, Marco Marchi, Emanuela Dreassi del Dipartimento di Statistica “G. Parenti” Università di Firenze, da Paola Baldi e Alessandra Benvenuti, Regione Toscana, e da Enzo Merler Unità di Epidemiologia, CSPO, AO Careggi Firenze, nota che: “Una certa parte delle differenze [di mortalità] osservate potrebbero però avere una origine ambientale. In due sensi distinti: da un lato essere frutto di una esposizione legata a fenomeni di inquinamento dell’ambiente (si veda la mappa del rischio di tumore pleurico a Livorno), dall’altro può essere legata ad effetti di contesto. Vivere in un quartiere degradato può comportare una serie di svantaggi che si pagano anche in termini di salute, sebbene individualmente non si sia in condizioni di svantaggio. Nella nostra analisi abbiamo cercato di evidenziare questo aspetto calcolando il rischio relativo per ciascuna zona limitatamente ai soli soggetti in assenza di condizioni di svantaggio socio-economico. Ebbene possiamo concludere per la presenza di un residuo effetto di contesto. Le conseguenze in termini di politica di tutela della salute sono ovvie e non richiedono ulteriori commenti.” Significativa questa frase che gli autori inseriscono a conclusione della loro ricerca: “Questa disomogeneità [della mortalità] è indicativa di un livello di bisogno sanitario che non è omogeneamente distribuito nel territorio e che puo' essere tenuto di conto per la programmazione sanitaria e la corretta ubicazione e accessibilità dei servizi sul territorio”.A questo punto è lecito domandarsi che senso abbia individuare il nuovo presidio ospedaliero nella zona sud, cioè quella più lontana dai quartieri più duramente colpiti a livello sanitario. Ancora una volta le scelte delle amministrazioni locali si collocano lontano, in questo caso anche geograficamente, dai veri bisogni della popolazione. I poveri muoiono di più Possiamo quindi delineare alcune conclusioni: 1) Livorno e la sua provincia sono una delle aree d’Italia più esposte all’insorgenza dei tumori; 2) i quartieri più colpiti sono quelli a nord – est della città, cioè quelli incuneati o confinanti con zona industriale, inceneritore, centrale ENEL e attività portuali. Bisogna segnalare un terzo elemento, che ricaviamo dallo studio redatto dalla Regione Toscana nel 2002 su “La mortalità per condizione socio-economica e professionale nei Comuni di Firenze e Livorno”: “In entrambe le città gli eccessi di mortalità più elevati si presentano tra i disoccupati, che registrano un tasso di mortalità più che doppio rispetto a quella degli occupati. In entrambe le città sono le classi borghesi, rappresentate dai professionisti, dirigenti e semi-professionisti, a presentare la mortalità generale più favorevole”. In definitiva si può con certezza arrivare ad una terza fondamentale conclusione: a Livorno si muore molto per tumore ma a morire sono soprattutto gli abitanti dei quartieri popolari situati in prossimità delle attività più inquinanti. Lo strano caso delle centraline per il monitoraggio dell’aria Poiché questo disastro è noto per lo meno da trent’anni è lecito domandarsi cosa hanno fatto le Amministrazioni locali per cercare di contrastarlo. Poco, molto poco, quasi niente. Per anni è stata fatta circolare la novella che a “Livorno l’inquinamento lo porta via il vento”, poi a partire dagli anni ’80, di fronte all’evidenza dei dati, si è cercato di minimizzare, aiutati, magari, da qualche compiacente organizzazione ambientalista che prendendo per oro colato tutte le informazioni fornite dal Comune ha sistematicamente inserito Livorno fra le città dove si vive meglio (o meno peggio). In questa politica di metodica rimozione della realtà, Comune e Provincia si sono spalleggiati a vicenda. Il caso più clamoroso è quello delle centraline per il rilevamento della qualità dell’aria. Acquistate con i soldi della Provincia, queste centraline sono state situate in luoghi dove potessero fare il minore danno possibile alla traballante immagine di Livorno città vivibile. Tipico il caso di quella per il rilevamento delle polveri fini in zona ad alto traffico, che invece di essere installata in una via centrale (via Grande, piazza della Repubblica o piazza Mazzini, per esempio), è stata situata sul viale Carducci, in una strada ad alta concentrazione di traffico ma periferica. Nonostante tutti gli artifici, fino al 2005 la centralina di viale Carducci segnalava un numero enorme di superamenti dei limiti di soglia previsti dalla normativa comunitaria. Poi, improvvisamente, nel 2006 si è registrata una caduta verticale di questi superamenti (dai 107 del 2005, peggior risultato toscano, ad “appena” 61 superamenti). Negli anni successivi la tendenza è stata ancora alla diminuzione sensibile dei superamenti. Come spiegare questo “incredibile” risultato? Comune e tecnici ARPAT si sono arrampicati sugli specchi per trovare spiegazioni plausibili ma alla fine, probabilmente, la verità l’ha detta un funzionario dell’ARPAT, invitato dalla rivista elettronica Greenreport a commentare i dati: “… inoltre è stata di recente migliorata la calibrazione delle centraline”. A pensar male, ha detto un notissimo politico democristiano, si fa peccato ma spesso non ci si sbaglia. Livorno distretto delle nocività Mentre a Livorno si muore per cancro a causa di fattori ambientali, le amministrazioni locali si stanno adoperando per autorizzare la realizzazione di nuove infrastrutture che peggioreranno la situazione: • costruire un terminale di rigassificazione al largo delle coste, iniziativa inutile perché di gas ne arriverà a sufficienza dai gasdotti che si stanno realizzando, dannosa per gli interessi della città, rischiosa e fortemente inquinante (si calcolano 1 o 2 milioni di metri cubi di metano rilasciati ogni anno in atmosfera a causa delle lavorazioni per non parlare dell’inquinamento del mare); • costruire un secondo rigassificatore, questa volta a terra nell’area industriale della Solvay; • raddoppiare, grazie ai soldi di una fra le TIA più care d’Italia, l’inceneritore del Picchianti non per una necessità della città ma per bruciare rifiuti provenienti da mezza Toscana; • costruire un megainceneritore per rifiuti industriali che dovrebbe servire tutta la Toscana (si parla di 1400 tonnellate al giorno incenerite); • realizzare una filiera di centrali a biomasse per la produzione di elettricità che bruciano olio di palma: due a Livorno in ambito portuale, una a Piombino (già autorizzate) e una a Campiglia (da autorizzare); centrali piccole ma estremamente inquinanti; • spalleggiare i progetti di ENEL che vorrebbe convertire a carbone una parte della centrale di Torre del sale (circa 750 MW) e a biomasse una parte della centrale del Marzocco. Insomma nuove pesanti fonti di inquinamento e quindi di morte volute solo per fini affaristici visto che le ricadute occupazionali sarebbero minime (si pensi alle poche decine di posti garantiti dal rigassificatore di Livorno) mentre i profitti finirebbero nelle casse di multinazionali e società non del territorio (una vera e propria colonizzazione). Tutto sulla pelle dei livornesi. Maurizio Zicanu Maggio 2010

venerdì 23 aprile 2010

Vulcano pensaci tu!!!

Vulcano islandese emissioni/giorno di co2 15.000 tonnellate Aerei europei “ 349.000 “ Fermo aerei: inquinamento evitato al giorno 206.000 “ È la normalità che spaventa …….

L’invasione delle biomasse

L’invasione delle biomasse Ok i carburanti vegetali ma le centrali sono troppe: allarme Pm10 A Livorno una superconcentrazione che fa discutere CARLO BARTOLI Da 75,6 a 175,6 megawatt in un anno. Sta in queste due cifre il boom dell’energia a biomasse in Toscana, ma la realizzazione delle nuove centrali alimentate con carburanti vegetali non trattati chimicamente fa discutere e non poco. L’ultimo caso riguarda Livorno, in particolare la realizzazione di due impianti che secondo l’Arpat immetteranno nell’aria il 50% in più di polveri sottili. E questo senza contare il forte aumento di ossidi di azoto che sono dei precursori delle Pm10. Un problema che mette in allarme non solo Livorno, dove peraltro il presidente della sesta commissione consiliare Andrea Romano ha definito «terrificanti» i dati diffusi dall’Arpat. Tra impianti attivi e nuove centrali a cui le Province toscane stanno per dare il via libera, la potenza complessiva generata da biomasse aumenterà del 132% diventando così la seconda fonte di energia rinnovabile, superata solo dall’idroelettrica, inchiodata da tempo a poco più di 320 megawatt. In pratica, in un paio di anni verrebbe raggiunto e superato l’obiettivo che per le biomasse il piano energetico regionale aveva preventivato di raggiungere nel 2020. A provocare questa corsa a rotta di collo è il ghiotto sistema di incentivi (vedi scheda a parte) e il fatto che il governo ha in programma di ridimensionare scatenando così una corsa contro il tempo. Ovunque spuntano progetti di nuove centrali, spesso di piccole dimensioni e a filiera corta (ossia alimentate da materia prima reperita nel raggio di poche decine di chilometri), ma nella sola provincia di Livorno sorgeranno tre grandi impianti, due nel porto di Livorno, e uno a Piombino. In quest’area si realizzerà una concentrazione che ha pochi uguali in Italia, dato che le due centrali ad olio combustibile già esistenti verranno affiancate dai tre nuovi impianti a biomasse. Le centrali alimentate con materia prima di origine vegetale hanno certamente un impatto ambientale minore di quelle a carburanti fossili, ma comunque scaricano nell’aria grandi quantità di sostanze che si trasformano in polveri sottili. Per scongiurare una forte concentrazione di fonti inquinanti, Mario Lupi, consigliere regionale di Sinistra, ecologia e libertà, aveva presentato un’interrogazione per chiedere che l’applicazione della moratoria approvata dal consiglio regionale. Una moratoria chiesta per fermare «l’avvio delle autorizzazioni o dei lavori per la costruzione di impianti energetici ad oli vegetali da filiera lunga nel territorio toscano», per sollecitare «la riforma delle incentivazioni all’energia prodotta dalle biomasse» e per favorire «le filiere corte e l’applicazione della Via agli impianti alimentati da biomasse non a filiera corta». Accanto alla preoccupazione per la concentrazione di fonti di inquinamento, si sottolinea il fatto che l’olio vegetale proviene da grandi distanze e necessita «di enormi estensioni territoriali necessarie a produrre quantità rilevanti di materia prima» provocando così la spoliazione di enormi aree nelle grandi foreste pluviali. In Toscana, in questi mesi sono spuntati molti progetti per la realizzazione di centrali a biomasse. Un impianto funziona a Scarlino, un altro, da 50 Mw, marcia a pieno ritmo a Piombino, un altro, di piccole dimensioni, è attivo a San Romano, dove produce 0,9 Mw bruciando il cippato ottenuto riciclando gli scarti dei boschi della zona. A Pisa un impianto a biomasse legnose presentato dalla Teseco sta per essere approvato, mentre il locale consorzio di bonifica ne vorrebbe realizzare uno a Larciano per bruciare 26mila tonnellate l’anno di erba di sfalcio raccolta con la manutenzione dei canali del Padule di Fucecchio; Monterotondo vorrebbe usare come combustibile 30mila tonnellate di fanghi di depurazione essiccati, mentre Rosignano alternerebbe fanghi e materiale legnoso. A cippato si prevede che funzionino gli impianti di Maresca, Forno, Abetone, Cutigliano, Villa Basilica e quattro piccole centrali della Valbisenzio. A Pescia, sempre con il cippato, vorrebbero produrre 1,2 Mw di energia e riscaldare il polo scolastico, mentre sull’Amiata hanno intenzione di bruciare 12mila tonnellate l’anno di scarti del legno. C’è però anche qualche Comune che ha detto no, dopo aver preso atto del parere negativo degli abitanti: si tratta di Montieri e di Cascine di Buti. LA SCHEDA Fanno gola gli incentivi Biomassa. Una centrale a biomasse produce energia e/o calore utilizzando come carburante del vegetale solido (legno in varie forme), o liquido (biodiesel prodotto da semi di colza o di soia, oppure biogas ottenuto dalla lavorazione degli scarti zootecnici). Incentivi. La produzione di calore da biomasse ha un ottimo rendimento, ma non è sostenuta da alcun incentivo, a differenza di quanto accade per la produzione di energia elettrica. Gli impianti con potenza inferiore a un megawatt ricevono ventotto centesimi per ogni kwh di energia elettrica prodotto, anche se utilizzato dallo stesso produttore, realizzando così un doppio guadagno. Gli impianti con potenza superiore a 1 mw vengono remunerati con 1,8 «certificati verdi» (del valore di 100 euro, Iva esclusa) per ogni mwh immesso in rete. Gli impianti non a filiera corta ne ricevono 1,3. Gli incentivi valgono per quindici anni. Filiera corta e filiera lunga. Gli impianti sono a filiera corta se utilizzano una biomassa reperita sul territorio, in un’area non superiore ai settanta chilometri. Sono a filiera lunga se usano materia prima vegetale prodotta a una distanza superiore (ad esempio, l’olio di palma) o rifiuti biodegradabili. Il professor Frey: l’impatto zero non esiste Non si può sempre dire no «E’ PREFERIBILE avere tanti piccoli impianti a biomasse e a filiera corta che poche centrali alimentate ad olio di palma. Detto questo, penso che non si possa sempre dire di no, perché occorre creare rapidamente delle alternative alla produzione di energia da fonti fossili». Per Marco Frey, docente di economia e gestione delle imprese, insomma, l’impatto zero non esiste, anche se occorre dotare le nuove centrali di impianti di filtraggio efficienti, in modo da ridurre l’impatto ambientale. «Personalmente - spiega Frey - condivido l’impostazione del Piano energetico regionale che, per quanto riguarda gli impianti a biomasse, privilegia la filiera corta e la generazione distribuita. Avere una rete di piccoli impianti con materia prima disponibile nella zona e quindi fortemente connessi con il territorio è sicuramente positivo. Queste soluzioni sono senz’altro preferibili anche se, a proposito delle energie rinnovabili, occorre tenere presente anche la necessità di uno sviluppo accelerato del settore rispetto alle fonti fossili». In generale, secondo Frey, la filiera corta è sempre auspicabile, anche perché può fornire un contributo importante all’agricoltura, con l’introduzione di colture con un buon valore energetico ed economico. «Certo - aggiunge - si può obiettare che comunque si tratterebbe di colture alternative a quelle di tipo alimentare, ma anche in questo ambito occorre fare una valutazione comparata». Per quanto riguarda le preoccupazioni per l’effetto sulla qualità dell’aria che possono avere questi impianti, «sono disponibili sistemi di abbattimento delle emissioni altamente affidabili. Progetti che non tenessero conto di questa opportunità, certamente dovrebbero incontrare ulteriori difficoltà ad ottenere l’autorizzazione». (C.B.)

mercoledì 21 aprile 2010

Sottopasso, il sindaco ha le sue responsabilità

Sul sottopasso di Rosignano il sindaco Franchi recita una sceneggiata così bene che sembra realtà: fa la vittima, dà incarichi all’avvocato a spese nostre, ma ha le sue primarie responsabilità. Quasi un anno fa, dopo oltre tre anni di lavori le Ferrovie consegnarono al comune il sottopasso di via Forlì. Il comune aveva 20 giorni di tempo per verificare la rispondenza dell’opera con il progetto: ma alla vigilia delle elezioni comunali del 7 giugno, nella fretta elettoralistica non verificò niente e il 29 maggio inaugurò in pompa magna il sottopasso, salvo poi vedere il primo pulman incastrarsi lì sotto. Se avesse verificato entro i venti giorni, il comune avrebbe potuto non accettare l’opera dalle Ferrovie ed almeno non far chiudere il passaggio a livello, in quanto il sottopasso non poteva sostituirlo. Ma non fu solo fretta elettorale: il progetto andava verificato almeno tre anni prima, prima dei lavori, ed anche in corso d’opera: chiunque si sarebbe accorto che così come disposto il sottopasso non avrebbe permesso il transito dei bus. E chi era al posto di comando negli anni della costruzione, al fianco dell’ex-sindaco Nenci ? Proprio il nuovo sindaco Franchi quale assessore all’urbanistica (appunto) dal settembre 2007, quando l’inchiesta della magistratura sugli scandali edilizi indusse il precedente assessore Boccaccini a dare le dimissioni. Ed oltre all’allora assessore Franchi, c’erano i dirigenti comunali del settore, Immorali in testa, che poi sono rimasti al loro posto. Insomma le Ferrovie hanno progettato, realizzato e consegnato un sottopasso inadeguato, ma l’amministrazione comunale l’ha accettato ad occhi chiusi. Ed ora subisce le ritorsioni anche sugli ascensori, che nessuno vuole, perché nella pallida consultazione nel dicembre scorso la popolazione chiedeva le rampe pedo-ciclabili sotto il passaggio a livello chiuso. In questo coacervo di incompetenza e caltroneria, nessuno – né FS né comune – ammette il peccato originale: il sottopasso è nato male perché condizionato dai vecchi pericolosi binari di manovra Solvay, dove sferragliano cisterne ad alto rischio in mezzo a scuole, impianti sportivi e abitazioni. Insomma, il sottopasso come l’ultima tragicommedia del belpaese della Solvay. 20-4-10 Maurizio Marchi

giovedì 28 gennaio 2010

Centrale elettrica a biomassa di “Porto Energia srl” Livorno tra inquinamento ambientale locale e rapina neo-coloniale

Centrale elettrica a biomassa di “Porto Energia srl” Livorno tra inquinamento ambientale locale e rapina neo-coloniale Per cominciare sembra utile chiarire chi è “Porto energia srl” di Livorno: una filiazione della ex-gloriosa Compagnia lavoratori portuali – già trasformata in impresa ai tempi della “riforma” dei porti cosidetta “Prandini” (1989), alla quale si opposero duramente i “camalli”(i lavoratori portuali veri e propri) di Genova e di altre città. La “Porto energia srl” ha sede in via S. Giovanni 13 a Livorno, presso la sede – appunto – della Compagnia Impresa Portuali, ha un capitale sociale di appena 15.000 euro (quindicimila euro), ed ha per presidente il sig. Enzo Raugei, ex “Comunisti italiani” ed ora PD. La prima domanda che si pone: come può una piccola srl (società a responsabilità limitata) come questa proporre, garantire e gestire un'operazione da 90 milioni di euro, quanto costerebbe la proposta centrale elettrica ad olio di palma da 52 Megaw elettrici, da costruirsi in area portuale ? In realtà sarebbe solo la facciata locale della vera proprietà, la General Electric, multinazionale dell'energia. Sarebbe il “faccendiere locale” per ottenere velocemente (com'è stato) i permessi, ottenere la consistente fornitura d'acqua industriale da ASA finanziandole la ristrutturazione del depuratore del Rivellino, ottenere l'uso del terreno della “casa madre” Compagnia Impresa Portuali, tra l'altro soggetto a vincolo SIN in quanto inquinato e soggetto a preventiva bonifica, ed altre “velocizzazioni” di provenienza politica. Vedremo tra l'altro il clamoroso “sconto” ottenuto nell'autorizzazione provinciale di poter non sottoporre a depurazione le emissioni in atmosfera, nonostante le rimostranze, poi smorzate, dell'ARPAT, notoriamente non dotata di cuor di leone. Ma andiamo con ordine. Forse è utile ripercorrere brevemente il quadro energetico della Toscana, ed in esso, quello della disgraziata Provincia di Livorno. Tutte le centrali termoelettriche strategiche (di una certa dimensione) della Toscana sono collocate nella Provincia di Livorno: 2 a Livorno (Enel e ENI), 2 a Rosignano (Solvay Electrabel), 3 a Piombino (Enel, Edison, Lucchini), ad eccezione di quella di Santa Barbara Cavriglia (AR): queste centrali, le principali emettitrici di poveri sottili, ossidi di azoto, metalli pesanti, ecc generano l’80 % dell'energia termoelettrica toscana, mentre il restante 25 % è generato dalla geotermia di Larderello e Monte Amianta, in piccola parte dall'idroelettrico, e in parte trascurabile (per la potenza generata, non per l'impatto ambientale micidiale) dagli inceneritori. Quindi nella piccola Provincia di Livorno (una striscia di terreno profonda una decina di km stesa su 80 km di litorale) si concentra quasi tutta la generazione termoelettrica della Toscana, con le relative ricadute ambientali e sanitarie. Se a questo si somma che a Livorno insiste l'unica raffineria toscana (di proprietà ENI, per ora ….), a Rosignano il più grosso ed impattante impianto cloro/soda d'Italia dopo Porto Marghera, a Piombino le acciaierie, si capisce perchè Livorno e Piombino siano stati dichiarati siti nazionali (SIN) ad alto rischio industriale e soggetti a misure di risanamento ambientale – a cominciare dalle emissioni atmosferiche - mentre Rosignano incomprensibilmente ancora non lo sia. E si capiscono anche le pur deboli rimostranze dell'ARPAT nel corso dell'istruttoria autorizzativa per la nuova centrale di “Porto energia srl”. Non si capisce invece il silenzio – almeno finora – della popolazione, dell'ambientalismo e della sinistra superstite. L'istruttoria autorizzativa iniziava con un minuscolo annuncio a pagamento, pubblicato il 26.6.09 per iniziativa della “Porto energia srl” in fondo alla 4° pagina de “La Nazione”, il quotidiano tradizionalmente “del padrone” a Livorno, che ben pochi leggono. La legge prescrive invece che l'annuncio al pubblico sia pubblicato almeno su due quotidiani, e già questo permetterebbe di ricorrere al TAR della Toscana per l'annullamento di tutto l'iter, conclusosi con sorprendente rapidità, con la pubblicazione dell'autorizzazione sul Bollettino Ufficiale della Regione Toscana (BURT) del 9.12.2009, a firma del Dirigente della Provincia di Livorno, architetto Reginaldo Serra. Ovviamente tale progetto non era previsto nel Piano di Indirizzo Energetico della Toscana (PIER), che anzi prevedeva per la nuova generazione elettrica da biomasse “la filiera corta” cioè l'approvvigionamento di biomasse nel raggio di 70 km, anziché da Sud America ed Africa, come nel caso in questione...... Come d'altra parte non era prevista nel PIER l'altra centrale (già, c'è un'altra centrale a biomasse autorizzata nella stessa area di quella della “Porto energia srl”) proposta da “Feder Petroli Green Road” di Pasquale Giordano, sull'area inquinata ex-Carbochimica, autorizzata sul BURT del 26.11.2008, ma più piccola (23 Megawatt). Affaristi si sostituiscono ad ENEL Si può osservare fin da ora che – se il disegno è quello di chiudere le centrali elettriche ENEL di Livorno (310 Mw) e di Piombino (1260 Mw), entrambe ad olio minerale combustibile, anziché riconvertirle a gas o meglio a idrogeno – per sostituirle c'è spazio , anzi una vera prateria per tanti faccendieri locali e multinazionali, come insegnano le due recenti centrali turbogas di Solvay/Electrabel (800 Mw complessivamente) a Rosignano: in marcia dal 1997 la prima, dal 2005 la seconda. Insomma, il business delle biomasse, con appena 85 Mw autorizzati (23 di Giordano più 52 Mw di Porto Energia) sembra APPENA ALL'INIZIO !! All'ombra dei famigerati incentivi CIP 6, in base ai quali il Gestore dei servizi elettrici (GSE) compra l'energia prodotta da privati a prezzo politico maggiorato, in virtù dell'utilizzo di fonti energetiche “rinnovabili”, nelle quali rientrano abusivamente anche il gas metano, gli inceneritori di rifiuti e le biomasse da filiera lunga, appunto. Con la “Domanda di autorizzazione unica” del 26.5.09 la “Porto energia srl” chiede alla Provincia l'autorizzazione alla costruzione e all'esercizio di una centrale elettrica ad olio vegetale di 52 Megawatt elettrici (130 Mw termici), in via Leonardo Da Vinci 17, accanto alla Società Rhodia e nei pressi dell' analoga centrale di Feder Petrol Green Road. La connessione alla rete TERNA (Enel) avverrà condividendo il cavo di connessione dell'altra centrale. Allega una serie di nulla-osta o concessioni da parte di vari enti, quali l'ASL, i Vigili del fuoco, la Regione Toscana, i ministeri dell'Ambiente e dello Sviluppo economico, ecc. Nella documentazione allegata alla domanda è compresa una “Sintesi non tecnica” di 15 paginette sgrammaticate (con diffusi errori grammaticali e di ortografia), in cui si descrive sommariamente il progetto : impianto di cogenerazione a ciclo combinato per la produzione di energia elettrica e vapore (da fornire in parte alla soc. Rhodia), su un'area di 19.000 mq sul terminal portuale Da Vinci, “in prossimità” della sottostazione Enel della centrale del Marzocco (la già citata vecchia centrale Enel ad olio combustibile da 310 Mw, in quasi disuso). Una centrale al centro di un grande sito inquinato e alluvionabile “Attualmente il terminal Da Vinci è dedicato alla movimentazione e gestione di auto nuove” in arrivo dal Giappone, dalla Corea, dal Brasile, ecc. “In prossimità del sito … è presente un'area a pericolosità idraulica medio-alta (classe IIIc) con possibilità di evento di esondazione con ricorrenza compresa tra 2 e 20 anni. Il sito si colloca in area classificata a fattibilità condizionata.” Cominciamo bene … “Il sito è inoltre ricompreso nella perimetrazione del Sito di Interesse Nazionale (SIN, ndr) di “Livorno” che include l'intero ambito portuale, le aree industriali che gravitano sull'area portuale stessa e l'area marina antistante...” Insomma, un enorme sito da bonificare, comprendente anche la raffineria ENI e varie altre aziende chimiche e petrolifere: 7 chilometri quadrati di terreno e 14 km2 di mare. A tutt’oggi sia l’area in questione, sia la più vasta area SIN non è stata bonificata, nonostante “la Conferenza di servizi decisoria del 7.8.2008 ha (abbia) approvato il Progetto operativo di bonifica del suolo e sottosuolo e delle acque sotterranee …”. Si veda al proposito la dichiarazione resa dal Presidente di Confindustria livornese, riportata dal Tirreno del 26.1.2010 “Allarme di Confindustria: bonificato solo l’1% dei siti”. Ma accanto, subito a nord del canale scolmatore artificiale dell'Arno, c'è un'”area protetta”, la “Selva Pisana”, “Sito d'interesse Comunitario”. Dopo il petrolio, l’olio di palma dal terzo mondo Jean Ziegler, anziano socialista svizzero, Relatore Ufficile delle Nazioni Unite per l’Alimentazione, nell’ottobre 2007 di fronte all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite definiva la politica di acquisizione di terreni nel sud del mondo, la loro deforestazione o il loro cambiamento d’uso (da uso agricolo locale ad uso industriale) un “crimine contro l’umanità. Chiedeva pertanto una moratoria di almeno 5 anni per evitare il dilagare della fame. L’acquisizione di terreni da parte delle multinazionali è invece andata avanti, ed oggi almeno 20 milioni di ettari – in Africa, America latina e Asia – sono destinati dalle multinazionali a produzioni finalizzate ad alimentare le centrali elettriche e le auto dei paesi ricchi. Mentre le persone sofferenti la fame sono passate da 860 milioni nel 2005 a 1.070 milioni nel 2009 (FAO, Roma dicembre 2009). Entrando nel vivo, la Sintesi afferma :”La Giunta regionale ha approvato il Piano energetico 2007-2010, che contiene previsioni fino al 2020, con l'obiettivo di ridurre del 20% i consumi e le emissioni di gas serra e aumentare del 20% l'energia prodotta con fonti rinnovabili, il 10-3-2008.* Attualmente il documento è all'esame delle commissioni consiliari per l'adozione definitiva da parte del Consiglio Regionale.” Ed ecco al lavoro i nostri, prima che vengano introdotte dal Consiglio stesso prescrizioni indesiderate, ad esempio la filiera corta nell'alimentazione delle centrali … Dopo aver citato il Protocollo di Kyoto e la legge regionale 39 del 24.2.2005, “la prima legge in Italia che recepisce le nuove competenze regionali”, la Sintesi si accredita nel macrobiettivo A3 “Aumentare la percentuale di energia proveniente da fonti rinnovabili.” Ed in coerenza con le linee guida della Provincia di Livorno, approvate con Deliberazione del Consiglio Prov.le n. 131/2007. Anche se ad oggi non siamo ancora in possesso delle linee guida provinciali, comunque risulta che sostengano la filiera corta. • niente di speciale, come sappiamo: sono gli obiettivi che si è data l'UE nel 2007, contestati dai paesi del Sud nel recente Summit di Cophenagen, che chiedono ai paesi ricchi impegni almeno doppi. Ancora dalla Sintesi, si apprende che la centrale avrebbe “4 turbine General Electric – Nuovo Pignone GE 10-1. Questo modello di turbina, grazie alla presenza di una sola camera di combustione esterna, ha una flessibilità nell'utilizzo di combustibili alternativi ai tradizionali tale da consentire il funzionamento utilizzando come combustibile sia l'idrogeno, sia combustibili a basso potere calorifico ottenuti dalle biomasse, sia (come ultima applicazione in ordine di tempo) gli oli vegetali.” Si sta pensando anche alla combustione futura di rifiuti ? Niente di più probabile, quando fosse minacciato il black-out ed interrotto il “servizio pubblico” della fornitura di energia, per mancanza del combustibile principale. Quattro camini di 35 metri e decine di tonnellate di polveri sottili Per le 4 turbine si avrebbero 4 camini alti 35 metri (diametro 2,5 metri) e una torre di raffreddamento. Oltre ad olio vegetale si utilizzerebbero materiali ausiliari, quali silice (cancerogena), acido citrico, olio di lubrificazione, olio dielettrico, aiuto filtrante e “in misura molto ridotta” additivi anticorrosione. Il consumo di acqua industriale sarebbe di 70 mc l'ora, cioè circa 560.000 mc/anno, ma in altri documenti dell’istruttoria ammonterebbe almeno al triplo. Le acque di processo verrebbero convogliate nel “Fosso della Botticina” e quindi in mare. Le emissioni in atmosfera dichiarate dalla Sintesi, ammonterebbero – per ogni camino e per anno – a 347 tonnellate di ossidi di azoto (che come è noto si trasformano in polveri sottili non appena in contatto con l'atmosfera – Armaroli e Po , Università di Bologna 2003), 44,7 tonn. di ossido di carbonio, 20 tonn. di COT, 278.667 tonn. di CO2 e soprattutto di 43,8 tonn. di particolato (polveri sottili), con una concentrazione di 39,1 mg per normal metro cubo di gas di scarico: quindi 175 tonnellate di polveri sottili complessivamente, più gli altri inquinanti. Una ammissione di colpa confessata che fa spavento, e su cui torneremo. Ma non solo: a pag 12 della Sintesi si afferma testualmente “Questo impianto non genera emissioni di gas serra”, dopo aver ammesso l'emissione di almeno 1.100.000 tonnellate di CO2 (278.667 tonn per 4 camini) l'anno, senza contare le emissioni delle navi che trasporterebbero l'olio di palma da distanza transcontinentale. L'impianto sarà piuttosto rumoroso, tanto da dover prevedere una “barriera acustica”, ma “non è soggetto alle procedure di cui al D.Lgs 334/99” (alto rischio d'incidente rilevante) nonostante la previsione di depositi di olio per 32.000 metri cubi, più i materiali ausiliari. La conferenza dei servizi del 27 luglio 2009 Come da Verbale, la Conferenza dei servizi prende in esame i doumenti presentati dal proponente (“Porto Energia srl”), tra i quali non compare lo Studio d’impatto ambientale, previsto invece dalla legge per le centrali elettriche sopra i 50 Mw elettrici. Ed invece – ovviamente- la centrale avrebbe un notevole impatto ambientale. Da Verbale, pag. 4:”Al fine di contenere al minimo gli impatti sulla componente atmosfera, sul clima acustico, dovranno essere messe in atto le misure di mitigazione prospettate nella relazione tecnica al capitolo cinque. Inoltre gli oli vegetali utilizzati come combustibili dovranno possedere caratteristiche tali da garantire l’assenza di elementi (IPA, metalli pesanti, sostanze clorurate, PCB, insetticidi) potenziali precursori della formazione di microinquinanti (fra cui le diossine) nelle emissioni in atmosfera della centrale.” …” che l’attività in oggetto è contemplata nell’all. 1 del Dlgs 59/2005 e smi “Attuazione integrale dell Direttiva 96/61/CE relativa alla prevenzione e riduzione integrate dell’inquinamento” al punto 1.1 “impianti di combustione con potenza termica di combustione di oltre 50 MW per cui lo stabilimento è classificato come ‘complesso IPCC’ e rientra quindi nel campo di applicazione del decreto stesso.” Tra le potenziali emissioni in atmosfera c’è anche il fosforo, contro il quale è prevista la purificazione degli oli vegetali. Contrariamente a quanto si poteva attendersi, l’ALS dà subito il suo parere favorevole, con generiche indicazioni, tra le quali “3) sia garantito, tramite l’applicazione delle migliori teconologie esistenti, l’abbattimento delle emissioni gassose in atmosfera, durante l’attività a regime dell’impianto 4) si proceda , durante le fasi di collaudo dell’impianto, ad un attento monitoraggio dei livelli di induzione magnetica…” Insomma, nessun impegno sulla prevenzione dall’inquinamento prima che sia autorizzato. Nelle successive conferenze dei servizi, l’ASL non aggiungerà nulla a quanto dichiarato sopra. Sui prelievi idrici si afferma che l’acqua prelevata per usi industriali sarà di 788.400 mc/anno, e per raffreddamento di 613.000 mc/anno, oltre a 379 mc per usi domestici: salta subito quindi la quantità dichiarata nella Sintesi non tecnica di un consumo d’acqua di 560.000 mc/anno. Nel prosieguo dell’istruttoria risulterà inoltre che questa quantità d’acqua dovrà essere recuperata finanziando la ristrutturazione del depuratore del Rivellino, in parte a carico della parte pubblica. Ma è sulle emissioni in atmosfera che si evidenziano le massime contraddizioni del progetto. Ancora nel Verbale, a pag 16, si afferma testualmente “E’ assolutamente necessario prevedere un idoneo sistema di abbattimento delle polveri. Si ricorda che, per quanto riguarda la qualità del’aria, è stato approvato dal Consiglio regionale con deliberazione n. 44 del 25 giugno 2008 il “Piano regionale di Risanamaento e Mantenimento della Qualità dell’aria”. La sottolineatura è del verbale. Ricordiamocene, più avanti. A pag. 17 il Verbale afferma: ”Riguardo la mancata previsione di un idoneo impianto di abbattimento per le polveri sui camini … il responsabile del procedimento (arch. Reginaldo Serra della Provincia, ndr) evidenzia invece che tale sistema di abbattimento era stato considerato nel parere ARPAT parte integrante e sostanziale del decreto di esclusione dalla VIA. Il progettista propone allora di prevedere gli spazi necessari per l’istallazione di eventuali filtri a maniche, ma di volerne rimandare l’effettiva istallazione ad una fase di marcia controllata dopo la messa in esercizio che ne evidenzi l’effettiva necessità.” Deboli con i forti Manco a dirlo, l’autorizzazione finale esaudirà il progettista. Ma non solo: qui si afferma che si è evitato la VIA, eludendo la legge, dando per acquisito “tale sistema di abbattimento”, che invece non verrà realizzato se non dopo la messa in marcia. Forse …. Da Verbale, la provincia incalza. ”Il responsabile dell’istruttoria per la matrice emissioni in atmosfera della Provincia di Livorno sostiene che visto il vigente Piano di risanamento e mantenimento della qualità dell’aria, visto l’intorno critico nel quale l’impianto andrà ad inserirsi, e considerati i quantitativi di polveri emessi dall’impianto … non si ritiene autorizzabile l’impianto in assenza di tali presidi di contenimento.” Nel parere ARPAT citato si legge “… è importante evidenziare che la concentrazione di polveri … pari a 176 tonn.(l’anno) … non è trascurabile se contestualizzata al sito di ubicazione della centrale, dove insistono altre pressioni sulla matrice aria … in particolae per la città di Livorno soggetta negli ultimi anni a superamenti degli standard di qualità dell’aria relativi ai paramentri PM10 e NOX … l’impianto così come definito dal proponente risulta essere fra le principali sorgenti regionali … si ritiene indispensabile che il proponente individui il sistema di abbattimento che intenderà adottare per la riduzione delle polveri emesse.” Non si sa quanto di queste prese di posizione, inequivocabili, facciano parte di un gioco delle parti, di una sorta di teatrino dei ruoli, o di una volontà precisa, piegata poi da volontà extra-istituzionali (illegali). Un altro aspetto importante del parere ARPAT è riguardo alla bonifica preventiva del sito destinato ad accogliere il nuovo impianto. Anche qui ARPAT è perentoria: ” Fino al rilascio della certificazione di avvenuta bonifica da parte della Provincia di Livorno sul sito in esame non potrà essere realizzata alcuna opera.” Tale certificazione di avvenuta bonifica non risulta agli atti. Nello stesso parere, ARPAT precisa alcuni elementi anche sui rifiuti solidi della centrale, tra cui: ”I rifiuti potranno essere gestiti in deposito temporaneo nel luogo di produzione alle seguenti condizioni 1) i rifiuti depositati non devono contenere policlorodibenzodiossine e policlorodibenzofurani in quantità superiore a 2,5 ppm né policlorobifenili o policlorotrifenili in quantità superiore a 25 ppm.” Anche per questa via si viene a sapere quindi che diossine, furani ed altre sostanze altamente tossiche saranno emesse nelle matrici ambientali, aria, terra, sottosuolo. La conferenza dei servizi del 5 ottobre 2009 Nella seconda seduta della CdS del 5 ottobre 2009 si continua a discutere delle emissioni in atmosfera. La “Porto energia srl” argomenta che “prove sperimentali eseguite da General Electric hanno dimostrato che (con) l’impiego di olio vegetale trattato al posto del gasolio … la concentrazione di particolato che si forma dalla combustione di oli vegetali è minore di quella che si forma dalla combustione del gasolio.” Ma soprattutto sottolinea che “i costi-benefici per l’impiego di un sistema di abbattimento per filtrazione come quello previsto, comporterebbero un aggravio di costi di investimento rispetto al progetto originale di circa 3,5 milioni di euro … “ Che cosa c’entri il paragone con il gasolio è difficile da capire, ma forse si spiega con la disponibilità della Società a concorrere ad uno studio sul traffico stradale ! Tuttavia “I partecipanti alla conferenza ritengono sia opportuno (non più indispensabile, ndr) prescrivere alla Società l’istallazione di idoneo impianto di abbattimento delle polveri in uscita dalle caldaie.” Nonostante i maggiori costi paventati. Il progettista resiste ancora.” Il progettista sottolinea che … si tratta di una tecnologia innovativa per cui sarebbe più opportuno acquisire maggiori elementi di conoscenza con l’imposizione prima di un Piano di monitoraggio e controllo ed a seguito dei suoi risultati valutare successivamente l’opportunità o meno di inserire l’impianto di abbattimento.” L’argomento della tecnologia innovativa (?) sembra far breccia tra i partecipanti alla conferenza, che “concordano nel richiedere ulteriore documentazione inerente lo scenario emissivo con e senza impianto di abbattimento …” Allegata al verbale c’è una relazione di ARPAT del 7 ottobre 2009 che afferma (pag. 3 di 4):”In assenza di sistemi di abbattimento, si ricava un flusso di massa annuo di materiale particolato di oltre 250 tonnellate … questo impianto si potrebbe collocare tra i primi se non il primo in regione per impatto sulla componente atmosferica, con riferimento al materiale particolato…” ARPAT allega a questa importante affermazione uno specchietto con le emissioni di PM della raffineria ENI, delle centrali termoelettriche di Livorno e Piombino, delle stesse acciaierie Lucchini di Piombino (non delle centrali Electrabel di Rosignano), tutte molto inferiori a quelle previste dalla centrale di “Porto energia srl”, anche perché largamente sottostimate. Ma è un’affermazione che resta schiacciante. Supertempestivamente, appena il 9 ottobre “Porto energia srl” presenta un’integrazione “volontaria” di sette paginette, in cui si afferma : ”La tecnologia scelta si distingue per il suo carattere innovativo .. rappresenta un’innovazione nel Sistema Toscano di Sviluppo d’impresa, degno di essere replicato su tutto il territorio...” Ma il punto decisivo è quello a pag. 6, in cui le polveri- magicamente –scendono a 103,6 tonnellate l’anno, in assenza di sistema filtrante. Mentre con il sistema filtrante si avrebbe una emissione di poco inferiore, stimato in 93,2 tonn/anno. C’è quantomeno da osservare che con 93,2 tonn/anno o con 103,6 tonn/anno, la centrale in questione resterebbe una delle prime emettitrici di PM in Toscana, superata solo dalla grossa centrale ENEL di Piombino (132 tonnellate/anno di PM, 1265 Mw elettrici istallati), in via di dismissione. La decisione finale: nessun impianto di abbattimento emissioni Dopo questa ostentazione di “innovazione”, il 9 novembre 2009 si riunisce la Conferenza dei servizi DECISORIA, alla quale partecipa – anche se senza diritto di voto – anche il Presidente Enzo Raugei. A pag. 10 del Verbale si legge .” Si propone alla Conferenza di prescrivere l’istallazione di idoneo impianto di abbattimento per l’inquinante polveri entro 1 anno dalla data di messa a regime dell’impianto, a meno che gli esiti del monitoraggio non ne dimostrino oltre ogni ragionevole dubbio l’assoluta non necessità …” La proposta non passa. Non si prescrivono neanche limiti alle emissioni più restrittivi in forza del fatto che l’impianto ricadrebbe in un’area di risanamento della qualità dell’aria, come da piano regionale, ma solo i normali limiti di legge: 30 mg/normalmetrocubo per le polveri, 200 mg/nmc per gli ossidi di azoto (precursori di ulteriori polveri sottili). La conferenza approva, limitandosi a prescrivere un “monitoraggio annuale specifico” per NOX e polveri sottili. Firmano il verbale il Responsabile del procedimento arch. Reginaldo Serra, Loris Ceccanti per il settore Industria ambiente e sicurezza della Provincia, per lo “Staff scarichi idrici” della Provincia Giacomo Diari, per la PO Demanio e risorsa idrica della Provincia G. Rucci, per il Comune di Livorno Lazzerini Lorenzo, per l’Agenzia delle Dogane Pescini Fabrizio, per l’Autorità Portuale Giovanni Motta, per la Società “Feder Petroli Green Road” Paolo Giovannetti, per la “Porto Energia srl” Enzo Raugei. Sul Bollettino Ufficiale della Regione Toscana n. 49 del 9.12.2009 viene pubblicato il Decreto del 30.11.2009 n. 194 della Provincia di Livorno che concede l’Autorizzazione Unica alla centrale in questione (da pag. 260 a pag. 266). La privatizzazione dell’energia, la sua caratterizzazione neocoloniale, la sua concentrazione devastante nella provincia di Livorno hanno fatto un passo avanti decisivo. 28 gennaio 2010 Medicina democratica - Livorno

venerdì 22 gennaio 2010

Relazione sullo stato dell'ambienteToscana: tra propaganda e devastazione

Ieri 21 gennaio alla sede ARPAT di Livorno è stata presentata la Relazione sullo stato dell’ambiente in Toscana 2009. Come previsto, è stata una kermesse elettorale: erano presenti gli assessori prov.li di Livorno, Pisa, Massa, che hanno fatto la loro passerella. Diffuse relazioni di vari tecnici ARPAT che hanno dato un quadro – come prevedibile – in miglioramento, salvo dover ammettere IL CONTRARIO con i dati: vi cito soltanto il dato delle acque in Toscana: nel biennio 2005/2007 si è verificato l’aumento dell’88% dei punti di approvvigionamento d’acqua passati dalla categoria A1 (buoni, necessitanti solo di “trattamento fisico semplice e disinfezione”) alla categoria A3 (pessimi, necessitanti di “trattamento fisico e chimico spinto, affinazione e disinfezione” ) (pag. 172). Il resto è sugli stessi livelli. Il Rapporto è disponibile in carta (presso MD) e anche sul sito ARPAT http://www.arpat.toscana.it/pubblicazioni/relazione-sullo-stato-dell-ambiente-in-toscana-2009 Curioso l’intervento dell’assessore prov.le di Livorno Nista, che ha detto, tra le altre cose che “la crisi non venga presa a pretesto per abbassare l’attenzione sull’ambiente, la salute e la sicurezza”. E che “Vogliamo che le nostre università diano contributi importanti”. Beh , l’università di Pisa lo ha fatto con il recente Rapporto Cheli Luzzati, peccato che il rapporto universitario dica il contrario di quanto deliberano i nostri assessori (ad esempio, sulla riapertura sul rigassificatore Edison) (Rapporto Cheli qui) http://www-dse.ec.unipi.it/persone/docenti/luzzati/rosignano/rosignano.htm Quattro presenti del “pubblico”: Martelli, Fontanella, io ed un militante che non conosco, che ha rivolto critiche sulla gestione dei rifiuti in un brevissimo intervento. Tre o quattro giornalisti, tra cui Passiatore. Di fatto nessuno spazio agli interventi del pubblico, anche se era prevista un’ora per questo: Fontanella ed io abbiamo volantinato i due testi che vi allego. Vi prego di leggere ed approfondire il testo della Relazione Stato ambiente, che comunque sia è uno strumento di lavoro essenziale. Domani ne parliamo anche alla riunione di Medicina democratica (sabato 23 ore 16 via Verdi 149 Livorno). Salute Maurizio Marchi

venerdì 15 gennaio 2010

Potenziare l’ospedale di Cecina e la prevenzione

Potenziare l’ospedale di Cecina e la prevenzione Medicina democratica condivive e sottolinea la denuncia lanciata dal sindacato FIALS: se andasse avanti l’operazione “nuovo ospedale a Montenero” si ridurrebbero i posti letto a Cecina da 219 attuali a 145, come previsto nel Bilancio ASL 2010/2012, ed altri servizi sul territorio. L’ASL sta pensando anche di vendere, oltre ad una parte dell’ospedale di Viale Alfieri a Livorno, anche le residenze assistite di Cecina e Rosignano, per fare cassa per il nuovo ospedale, che ridurrebbe comunque i posti letto anche su Livorno di circa 200 unità: una operazione dissennata, clientelare e “del mattone”, che non ha niente a che vedere con il miglioramento della sanità in provincia, e che anzi si tradurrebbe in uno scadimento sostanzioso dei servizi sanitari sul territorio. MD sostiene che il nuovo ospedale a Montenero è un inutile spreco di risorse pubbliche. Si deve invece modernizzare l’ospedale di Viale Alfieri, e soprattutto non svuotare ma potenziare quello di Cecina, spendendo meno e destinando le risorse così risparmiate nella prevenzione primaria sul territorio: potenziamento dei distretti socio-sanitari, lotta all’inquinamento e alle cause di morbilità, studi epidemiologici, controlli di massa sulla popolazione esposta alle sostanze inquinanti. 15.1.2010 Maurizio Marchi (Resp. prov.le)

giovedì 7 gennaio 2010

Nuovo ospedale: il vero obiettivo non è il miglioramento della sanità

“Sulla vicenda del nuovo ospedale girano almeno 300 milioni fra cantieri, viabilità da rifare, riorganizzazione di funzioni e servizi”. Da queste parole del sindaco già si dovrebbe intravedere qual’e’ il vero obiettivo dell’operazione “nuovo ospedale”: una grande operazione di trasformazione urbana, sbagliata nelle premesse e nelle scelte, che risponde ad altre esigenze anziche’a quelle della sanità pubblica. Le premesse sono che il piano sanitario regionale – condizionato dai tagli alla sanità - prevede solo tre poli ospedalieri “regionali” (Firenze, Pisa e Siena), affiancati da presidi multifunzionali. Quello che viene proposto a Livorno e’ appunto solo un presidio multifunzionale, non a caso con quasi 200 posti letto in meno dell’attuale ospedale. La premessa principale quindi e’ la diminuzione dell’impegno finanziario nella sanita’ e la sua privatizzazione. Lo ammetteva chiaramente anche l’assessore Rossi, candidato unico alla Presidenza regionale, su “Il Tirreno” del 3.1.10: risparmiare sulla “riorganizzazione degli ospedali”. In secondo luogo viene il problema della localizzazione, cosÌ cervellotica da dare la chiave di tutta l’operazione: fare cassa sulla vecchia area, far girare soldi – oltre che per la costruzione del nuovo presidio, anche per la viabilità. Un vortice di soldi di cui si avvantaggerebbero i soliti noti. Con queste premesse indispensabili, cerchiamo di addentrarci nel progetto prelelettorale di Cosimi/Rossi/Calamai. Nella presentazione del progetto alle commissioni consiliari del Comune (16 novembre) si parla di una spesa prevista di 266 mln, così divisi: 183 mln per la costruzione, 44 mln per non meglio identificati "altri costi Azienda" (presumibilmente ASL) e 38 mln per "arredi, attrezzature sanitarie, IVA". Nella stessa presentazione si prevede una "copertura finanziaria del nuovo presidio ospedaliero con ipotesi di Project financing" così divisa: 130 mln dalla Regione, 30 mln di mutuo e 67 mln di project financing. Rimarrebbero fuori i 38 mln di "arredi, attrezzature sanitarie, IVA". La base è la relazione sulla fattibilità economico-finanziaria del nuovo ospedale, redatta dallo studio legale Pettinelli, specializzato in privatizzazioni, che prevede la vendita di gran parte del patrimonio immobiliare ASL . Insomma una gigantesca manovra di PRIVATIZZAZIONE Da sommarsi all’accollo di un mutuo molto pesante per il Comune, per almeno 30 milioni di euro, su 170 complessivi di bilancio. La questione "finanziaria" scompare dall’attenzione però, sommersa dalla marea di polemiche sulla localizzazione del nuovo ospedale, questione che evidentemente fa gioco a destra e a sinistra , perchè da’ per scontato che l'ospedale nuovo si farà... Il referendum come formulato sembra muoversi in quest’ottica limitata: dove farlo ? Invece a nostro avviso la questione centrale è il miglioramento decisivo della sanità a Livorno: non solo l’ospedalizzazione, ma anche e soprattutto le strutture decentrate per la prevenzione, insieme ad un vero e proprio piano allargato per la prevenzione, iniziando a chiedersi di che cosa ci si ammala e si muore, per arrivare a risposte preventive (ridurre l’inquinamento, migliorare la qualità dell’aria, dell’acqua e degli alimenti) e solo alla fine di cura ed ospedalizzazione. L’approccio corrente è l’esatto opposto: risposte impiantistiche, oltretutto privatizzate e rispondenti a logiche edificatorie e clientelari. Comunque, per limitarci alla proposta di nuovo ospedale, le autorità presentino e mettano in condizione la città di discuterla e, nel caso, di modificarla poiché la fretta con cui si cerca di mettere i livornesi di fronte al “fatto compiuto” è molto sospetta e ricorda, tristemente, un’altra vicenda che ha segnato la storia incivile di questa città, il progetto di rigassificatore offshore. E non si contrabbandi per partecipazione e trasparenza la semplice presentazione di decisioni già prese. La mancanza di trasparenza e la negazione di ogni sia pur minima possibilità di intervento da parte dei cittadini pare un motivo in più per essere contrari al nuovo ospedale, a Montenero come altrove, e battersi invece per la rivalutazione/ristrutturazione di una struttura, “baricentrica” rispetto al bacino di utenza che deve servire, come quella di Viale Alfieri, ampliata nelle vicine aree ex-Pirelli e migliorata nei suoi aspetti più critici, e di una profonda riqualificazione dell'intera rete sanitaria cittadina. Che non deve essere svenduta, ma migliorata e anch'essa ampliata.. Se di una “grande opera” hanno comunque bisogno i nostri amministratori per la campagna elettorale regionale, propongano il ripristino della tranvia da Barriera Margherita a Tirrenia: a quel punto anche il potenziamento dell’ospedale nel sito Alfieri diverrebbe ancora più logico e… respirabile. Maurizio Marchi Medicina democratica Livorno 5.1.10